Non sono bambini costretti a giocare in casa. Né adolescenti a cui è vietato andare a passeggio con gli amici. Non sono neanche adulti costretti a svolgere un lavoro sicuro dietro una scrivania. Le persone con emofilia non sono obbligate a vivere sotto una campana di vetro per paura che un banale taglio si trasformi in una pericolosissima emorragia. O almeno non lo sono più. Specialmente da quando si è iniziato a somministrare direttamente nel sangue la molecola che consente di prevenire le emorragie e che negli emofilici è mancante.
E, grazie ai nuovi farmaci, le iniezioni di questa molecola non devono necessariamente essere frequenti come lo sono state fino a pochissimo tempo fa.
Sono tanti e importanti i progressi scientifici che hanno permesso agli emofilici, non solo di vivere a lungo quanto le persone sane, ma anche di avere una buona qualità della vita. E’ proprio a questi progressi, e a quelli che ancora si potrebbero fare, che oggi, in occasione della Giornata mondiale dell’emofilia, sono stati dedicati due incontri nella Capitale: uno organizzato dalla FedEmo, dedicato essenzialmente alla gestione del paziente in Pronto Soccorso, e un altro organizzato dall’Osservatorio malattie rare (Omar), dedicato ai progressi scientifici e alla mutata qualità della vita degli emofilici.
IN ITALIA OLTRE 4.300 PERSONE SOFFRONO DI EMOFILIA
L’emofilia è una malattia rara di origine genetica che colpisce soprattutto i maschi. Solo in Italia ne soffrono oltre 4.300 persone, mentre in Europa sono circa 31.000 le persone affette da emofilia A e B. Se in un individuo sano la fuoriuscita di sangue dai vasi sanguigni si arresta rapidamente, chi è colpito da emofilia è soggetto a numerose emorragie.
Il processo di coagulazione del sangue comporta l’attivazione di numerose proteine del plasma in una sorta di reazione a catena. Due di queste proteine, prodotte nel fegato, il fattore VIII e il fattore IX, sono carenti o presentano un difetto funzionale nelle persone affette da emofilia. A causa di questo deficit gli emofilici sono facilmente soggetti ad emorragie esterne ed interne, più o meno gravi. Sarebbe tuttavia più corretto parlare di “emofilie”, al plurale, poiché ne esistono principalmente due forme, cioè l’emofilia A e l’emofilia B: la prima è dovuta alla carenza di fattore VIII mentre l’emofilia B alla carenza di fattore IX.
La prevalenza è 1 caso ogni 10.000 per l’emofilia A, che è dunque il tipo più diffuso, e 1 caso ogni 30.000 per l’emofilia B. Le manifestazioni sono simili e in entrambe i casi e più che dal tipo dipendono dalla gravità della malattia che viene determinata in base alla gravità della carenza di attività del fattore coagulante.
L’EMOFILIA PUO’ PORTARE ANCHE A GRAVI DISABILITA’
«In genere le persone affette da emofilia, oltre alle problematiche tipiche dello stato emorragico presentano anche altre complicanze correlate alla malattia», spiega Elena Santagostino, responsabile dell’Unità operativa semplice presso l’IRCCS Fondazione Ca’ Granda di Milano. «Nei soggetti che hanno una emofilia grave ad esempio, che provoca con frequenza e anche in assenza di traumi significativi delle emorragie, che spesso si manifestano negli arti, se non adeguatamente trattati fin dall’infanzia - dice - possono portare ad artopatia cronica che causa rigidità e deformazione dell’articolazione. Anche se minore in caso di trauma il soggetto emofilico può rischiare anche emorragia cerebrale».
Diffuse sono anche le emorragie muscolari, che possono dare gravi difficoltà nel movimento, e ancora emorragie gastro-intestinali, emorragie in cavità, emorragie dell’oro-faringe, emoftoe, epistassi, ematuria, emorragie oculari, ematomi spinali. Sebbene rare, alcune di esse sono urgenze mediche, che devono essere diagnosticate e trattate precocemente specie se possono mettere in pericolo le funzioni vitali.
NUOVE TERAPIE RIDUCONO FREQUENZA DELLE INIEZIONI
«In passato, il trattamento - riferisce Santagostino - consisteva in trasfusioni di sangue. Attualmente invece il trattamento più diffuso è la terapia di profilassi, ovvero una terapia sostitutiva in cui viene iniettato il fattore coagulante mancante. Lo scopo è quello di mantenere un livello costante della molecola mancante in modo tale da prevenire i sanguinamenti».
Si tratta di un approccio utilizzato in Svezia già a partire dagli anni ‘60, mentre nel nostro paese si è diffuso solamente negli anni ‘90. Il limite di questo trattamento consiste sostanzialmente nella frequenza delle iniezioni, spesso causa di assenze a scuola o di perdita di giorni lavorativi. Questo specialmente quando le iniezioni vengono effettuate negli ospedali, cosa che avviene spesso soprattutto quando il paziente è molto piccolo, e prima che si riesca a passare al trattamento domiciliare. «Tuttavia, di recente in Italia - dice Santagostino – c’è a disposizione un nuovo farmaco che riduce la necessità delle iniezioni, che sono quasi giornaliere, per i pazienti con emofilia A. Si tratta di Bay 81-8973, che può essere iniettato 3 o anche solo 2 volte a settimana. Un risultato importante verso lo sviluppo di cure sempre meno impattanti per la vita dell’emofilico».
Anche per l’emofilia B di recente è disponibile una nuova terapia che riduce il numero delle infusioni. Si tratta di eftrenonacog alfa che va somministrata una volta alla settimana o una volta ogni due settimane, anziché 2 volte a settimana rispetto agli altri farmaci.
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