Non solo rapporti sessuali a rischio e infezioni in ospedale: sono sempre più frequenti i casi di epatite C contratti con trattamenti di bellezza, come manicure, pedicure, rasature dal barbiere, piercing e tatuaggi, responsabili del 34% dei casi segnalati nel 2017. Lo segnala il primo bollettino del Sistema Epidemiologico Integrato delle Epatiti Virali Acute-SEIEVA dell'Istituto superiore di sanità.
Il dato positivo è che dal 1985 in Italia c'è stato un calo generale per tutte le infezioni da epatite, in particolare B e C. In oltre 30 anni l'incidenza è scesa dagli oltre 10 casi per 100mila abitanti della fine degli anni '80 a meno di 1 caso per 100mila dal 2010 per l'epatite B e dal 2000 per l'epatite C. Nel 2017, i casi di epatite B segnalati al 22 novembre sono stati 178, principalmente in Toscana (32) e Lombardia (27) e in uomini tra i 35 e 54 anni. Anche se molti casi si sono avuti in soggetti a rischio (tossicodipenti o conviventi con persone portatrici del virus, 16%), l'infezione per via sessuale (28%) è ancora molto frequente, così come in ospedale (12%) o con trattamenti di bellezza, tatuaggi e piercing (25%). Nel 2017 i casi di epatite C sono stati 47, con i numeri più alti in Lombardia (10), Emilia Romagna e Toscana (8 ciascuna), la maggior parte tra i 35 e 54 anni e negli uomini.
Uno dei principali fattori di rischio è la tossicodipendenza (31,8%), ma sono aumentati altri tipi di infezione, come i trattamenti di bellezza (34%), rapporti sessuali a rischio (31%) e l'esposizione in ospedale (30%), con emodialisi, interventi chirurgici, endoscopia o trasfusioni. Per quanto riguarda l'epatite A, negli anni ci sono stati diversi picchi epidemici.
Dopo quello del 1997, i più recenti sono quelli del 2013-14, associato al consumo di frutti di bosco congelati, e del 2016-17 tra uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini. Dal 1 gennaio i casi segnalati sono stati 2.583, in particolare in Lombardia (707) e Veneto (419). Oltre all'Italia (la più colpita), l'epidemia è in corso anche altri paesi europei, prevalentemente in uomini che hanno rapporti omosessuali (62%).