Prima del 2010 la sola cura per l’epatite C era rappresentata dall’interferone in associazione alla ribavirina. Le percentuali di successo erano inferiori al 50% e moltissimi gli effetti collaterali. Oggi, con l’avvento degli antivirali ad azione diretta, oltre il 97% delle persone è curata con successo. Risultato? Una diminuzione del rischio di sviluppare carcinoma epatico e un netto miglioramento della qualità di vita. Un beneficio che da dicembre 2014 -data di inizio delle somministrazioni di queste nuove molecole- ad oggi ha già coinvolto oltre 96 mila italiani. Prossimo obiettivo: riuscire a trattare tutte le persone -circa 300 mila- positive al virus dell’epatite C ma che al momento non si sono ancora rivolte presso i centri di cura.
Che cos’è l’epatite C?
«L’epatite C -spiega il professor Giovanni Battista Gaeta, ordinario di Malattie Infettive alla Seconda Università di Napoli- è una malattia virale che colpisce prevalentemente il fegato. La presenza del virus è in grado di scatenare una reazione immunitaria che, a lungo termine, danneggia in maniera irreversibile l’organo portando a cirrosi e carcinoma epatico». Secondo alcune stime si calcola che siano 71 milioni al mondo le persone affette dal virus. In Italia, nonostante non esista un dato ufficiale che riporti con certezza il numero degli individui positivi, gli esperti sono concordi nell’affermare che siano almeno 300 mila le persone che necessitano di un trattamento immediato.
Gli antivirali guariscono il fegato
A differenza del passato, dove le cure per l’epatite C non erano soddisfacenti, dal 2010 in poi l’avvento dei farmaci antivirali ad azione diretta ha cambiato la storia della malattia. «La caratteristica di queste molecole -spiega Gaeta- è quella di agire sui differenti meccanismi che il virus mette in atto per replicarsi. Oggi attraverso questo approccio è possibile eradicare il virus in oltre il 97% dei casi». I vantaggi dell’eliminazione del virus sono innanzitutto a livello epatico: secondo l’ultimo studio presentato al congresso AASLD eliminando il virus il rischio di sviluppare carcinoma epatico cala del 71%. Non solo, le ricadute positive di questi farmaci riguardano anche il campo dei trapianti. Sei trapianti di fegato su 10 in Italia avvengono proprio a causa dell’epatite C. Diversi studi dimostrano che almeno il 20% delle persone in attesa, se trattate, traggono benefici tali da non necessitare più di un nuovo organo.
Togliere il virus migliora la qualità di vita
Ma se pensiamo all’epatite C come ad una malattia esclusiva del fegato siamo sulla strada sbagliata. «L’epatite è una patologia sistemica a tutti gli effetti. chi ne soffre con il tempo va incontro a diabete, insufficienza renale e malattie cardiovascolari. Non solo, chi ne è affetto ha maggiori probabilità di sviluppare depressione, linfomi e crioglobulinemia. Eliminare dunque il virus è fondamentale per il benessere generale e per ridurre la mortalità indipendentemente dal danno epatico» conclude Gaeta.
Più di 96 mila gli italiani curati
Inizialmente con l’arrivo sul mercato degli antivirali la priorità al trattamento è stata data ai casi più gravi. Da qualche tempo, con l’allargamento dei criteri di accesso a questi farmaci, la possibilità di accesso alle terapie è possibile per quasi la totalità degli individui affetti dal virus. Oggi, secondo le ultime statistiche di AIFA, sono già oltre 96 mila gli italiani curati. Ma il vero obiettivo ora è arrivare a trattare tutti gli individui affetti, circa 300 mila. «Ad oggi -spiega il professor Antonio Craxì, ordinario in gastroenterologia all’Università degli Studi di Palermo- abbiamo pressoché trattato tutti i casi più gravi. Purtroppo adesso, a differenza di quanto si possa pensare, il numero di persone che stiamo trattando è notevolmente inferiore rispetto alle risorse a disposizione. Paradossalmente prima dovevamo dire no ad alcuni pazienti, ora siamo nella situazione opposta di dover andare a cercare i malati».
Ripensare il sistema di trattamento
La situazione, inimmaginabile sino a pochi mesi fa, secondo Craxì potrà essere affrontata agendo su più fronti: «da un lato -spiega l’esperto- dobbiamo andare ad intercettare le persone più a rischio (tossicodipendenti, carcerati, parte della comunità omosessuale), dall’altro dobbiamo comunicare che eradicare il virus è un vantaggio per la salute soprattutto in quegli individui positivi ma che non hanno sviluppato ancora i sintomi. Gli strumenti per eliminare il virus ci sono, ora è solo questione di organizzazione». La vera partita nella lotta all’eradicazione si gioca qui.
@danielebanfi83
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