I dati parlano chiaro: circa il 30% delle persone affette da epilessia ha crisi non controllate dai farmaci disponibili. Non solo, ad oggi non esistono biomarcatori che possano predire lo sviluppo di epilessia in soggetti a rischio o la risposta terapeutica in pazienti alla prima diagnosi. Uno scenario che nel prossimo futuro potrebbe cambiare grazie a due studi italiani realizzati dai ricercatori dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche «Mario Negri».

Nel primo, pubblicato dal Journal of Clinical Investigations, gli scienziati sono riusciti ad identificare una proteina presente nel sangue in grado di predire e monitorare nel tempo possibili attacchi epilettici. Nel secondo, pubblicato da Brain ed effettuato per ora a livello sperimentale nei topi, i ricercatori sono riusciti a ridurre il numero di crisi e la loro progressione somministrando due farmaci già oggi in commercio per altre indicazioni.

Che cos’è l’epilessia?

Epilessia, una parola e tante diverse manifestazioni. Il sintomo più comune è l’improvvisa perdita della coscienza e violenti movimenti convulsivi dei muscoli che si originano a partire da una scarica elettrica anomala a livello cerebrale. Ma a differenza di quanto si possa pensare le crisi possono essere anche talmente veloci che la persona nemmeno se ne accorge. Con un picco di incidenza in età infantile ed adolescenziale, le persone affette da epilessia sono oltre 65 milioni nel mondo, 500 mila in Italia. I trattamenti ad oggi disponibili hanno come meccanismo d’azione il blocco della scarica elettrica anomala. Di forme ne esistono a decine e ognuna ha un’origine e meccanismo d’azione differente.

Come fare a prevedere una crisi?

Nell’epilessia prevedere l’arrivo di una nuova crisi o comunque monitorare l’efficacia delle terapie è ancora difficile. Una possibile soluzione potrebbe essere il dosaggio della proteina HMGB1. Come spiega la dottoressa Annamaria Vezzani, autrice della ricerca, «nel nostro studio abbiamo scoperto che i livelli di questa proteina aumentano nel sangue prima che le crisi epilettiche si manifestino nei roditori e possono dunque predire con accuratezza quali animali esposti a un fattore di rischio svilupperanno la malattia. In studi clinici paralleli, pazienti con nuova diagnosi di epilessia presentano un aumento della proteina nel sangue che è predittivo della comparsa di crisi farmacoresistenti».

Spegnere il danno ossidativo

Ma se da un lato sarà forse possibile prevedere le crisi, come fare a limitare le ricadute? La terapia dell’epilessia – spiega la Vezzani- si basa su farmaci che trattano i sintomi della malattia ma non bloccano i meccanismi che sono responsabili del suo sviluppo». La ricerca del Mario Negri ha invece dimostrato che la combinazione di due farmaci anti-ossidanti usati nella pratica medica, la N-Acetilcisteina, un precursore del glutatione, e il sulforafano, una sostanza che si trova ad alte concentrazioni nei broccoli, se somministrata per un breve periodo negli animali esposti ad un fattore di rischio per lo sviluppo di epilessia, riduce drasticamente il numero e la progressione delle crisi epilettiche e risulta neuroprotettiva. Lo studio ha dimostrato, in particolare, che lo stress ossidativo provoca la formazione di una molecola patologica nel cervello, cioè la forma ossidata di HMGB1, che è coinvolta nella generazione delle crisi. I farmaci utilizzati sono stati in grado di prevenire la formazione di questa molecola evidenziando quindi un nuovo meccanismo che contribuisce ai loro effetti terapeutici.

@danielebanfi83


Alcuni diritti riservati.

vai all'articolo originale >>