I servizi di psichiatria, come dimostra l’elevazione a modello sancita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, rappresentano uno dei capisaldi del Servizio Sanitario Nazionale. Questo perché i servizi offerti a partire dagli anni ’60 - col superamento dei manicomi e l’introduzione della psichiatria di comunità: sotto l’egida dei dipartimenti di salute mentale, 183 lungo l’intera Penisola - sono inanellati in una filiera che negli anni ha portato al ricorso ai ricoveri soltanto nelle situazioni più gravi .
Buona parte della gestione è demandata ai servizi territoriali, organizzati per far fronte alle diverse esigenze dei pazienti: con un mix ben distribuito di servizi clinici, di riabilitazione e di inserimento sociale. Essendo il primo filtro per i pazienti psichiatrici, in cui risultano integrate le competenze psichiatriche (mediche) con quelle psicoterapiche (di competenza quasi sempre psicologica), le unità territoriali delle Asl risultano di conseguenza quasi sempre sotto assedio.
A ciò occorre aggiungere, di pari passo con la riduzione dello stigma che ha sempre accompagnato le malattie mentali, la comparsa di nuovi bisogni sociali da parte dell’utenza, che si affrontano in maniera diversa rispetto a quanto avveniva fino a un paio di decenni addietro: grazie anche alle nuove conoscenze garantite dagli sviluppi che la ricerca ha compiuto nel campo delle neuroscienze, della genetica, della psichiatria e della farmacologia.
Il primo filtro è l’assistenza territoriale
Nella popolazione generale è presente una quota di disagio psichico che si traduce in alcuni casi in un vero e proprio disturbo psichiatrico: 777mila quelli registrati in Italia nel 2015, stando ai dati riportati nel rapporto sulla salute mentale in Italia redatto dal Ministero della Salute.
I soggetti portatori di tali disagi o disturbi spesso o per lungo tempo non cercano aiuto. Accade pertanto che il soggetto non si rivolga nemmeno al medico di medicina generale o, se vi si reca, faccia presente altri disturbi: da qui la difficoltà per il medico di riconoscere il disturbo di origine psicologica. Ma spesso il processo che porta alla presa in carico del paziente è ancora diverso: non prevede il passaggio dal medico di base, ma direttamente la richiesta di contatto con il servizio psichiatrico, soprattutto se il paziente in questione ha una conoscenza della modalità di funzionamento della rete assistenziale in questo ambito.
Si configurano pertanto una serie di situazioni che danno conto della complessità e variabilità dei quadri e della difficoltà di disegnare percorsi lineari. Il trattamento multicontestuale integrato si realizza all’interno dei servizi psichiatrici territoriali, a cui accede potenzialmente tutto il disagio psichico della zona di competenza. In linea generale tale disagio può avere caratteristiche semplici o complesse: sulla base del grado di accettazione del disturbo, del sua gravità e degli effetti sul contesto (personale e ambientale).
Le prestazioni erogate nel 2015 dai servizi territoriali ammontano a oltre dieci milioni: con una media di 13,5 prestazioni per utente. Complessivamente il 75,9 per cento degli interventi è stato effettuato da medici e infermieri in sede, l’otto per cento a domicilio e il resto in una sede esterna. Nel 2015 si sono registrate oltre centodiecimila dimissioni dalle strutture psichiatriche ospedaliere, per un totale di 1,4 milioni di giornate di degenza: con una media individuale di 12,6 giorni. Sono stati registrati 8.777 trattamenti sanitari obbligatori.
Ma i bisogni sono in evoluzione
I dati emergenti sull’aumento della domanda di cure per disturbi non psicotici (disturbi dell’umore, disturbi d’ansia), per disturbi relativamente nuovi (di personalità, del comportamento alimentare, gioco d’azzardo patologico), abbinati alla cronicizzazione della depressione maggiore, rendono però necessaria una revisione del sistema di cure fornito attualmente dai dipartimenti di salute mentale italiani, il cui ruolo è tuttora quello di assicurare assistenza alle persone affette da disturbi mentali considerati in origine più gravi: quali la schizofrenia e altri disturbi psicotici.
L’assistenza a questa fetta, segnalano gli psichiatri, assorbe in maniera rilevante le risorse dei centri, lasciando inevitabilmente e largamente insoddisfatta la richiesta di cure da parte della restante: più sostanziosa nei numeri.
Un’altra lacuna è rappresentata dallo scollamento che c’è tra i servizi del bambino e quelli dell’adulto: con gli adolescenti condannati a ritrovarsi, in questo caso più che in tanti altri, in una terra di mezzo che rischia di tradursi in una peggiore qualità assistenziale. Così come appare problematica la carenza di collegamento e coordinamento con i servizi per le dipendenze: con la conseguente mancata o inadeguata presa in carico delle persone affette dalle stesse. Scoperti rischiano di rimanere pure i pazienti anziani, in cui i disturbi psichiatrici possono viaggiare a braccetto coi processi di decadimento cognitivo.
L’emergenza è nelle carceri
Ancora più delicata è la situazione relativa all’assistenza psichiatrica nelle carceri e all’abolizione definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari per fare spazio alle Rems, residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Nelle scorse settimane la questione è stata affrontata con un’inchiesta da «La Stampa» .
Al cospetto di un simile scenario, segnalano gli psichiatri, i problemi aperti sono molteplici: l’aumento dei costi per le Regioni e la incompleta realizzazione delle rete di Rems prevista, i prevedibili problemi di gestione della violenza all’interno di queste strutture con rischi per ospiti e operatori, la crescente responsabilità professionale gravante sullo psichiatra, la complessità e specificità delle cure da devolvere dentro e fuori dalle carceri ai pazienti autori di reato, spesso gravati dalla compresenza di diversi disturbi e con personale spesso non adeguato a gestire casi così complessi. Altro limite è quello che riguarda la capacità di fornire adeguata risposta ai bisogni delle fasce di popolazione più deboli: come i senza tetto e i migranti.
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