E’ stato spesso negato che gli antichi Romani conoscessero l’uso delle lenti per ingrandire le immagini: innanzitutto sarebbe stato troppo difficile – si è detto - ottenere vetri e cristalli sufficientemente trasparenti. Per giunta, sarebbe stato impossibile molarli con finezza e precisione adeguate.
I ritrovamenti archeologici più recenti, soprattutto quelli provenienti dagli scavi di Pompei, confermano, invece, l’ipotesi opposta. Non solo i romani usavano le lenti per la visione, ma avevano già intuito il loro utilizzo per la creazione di quella che potremmo definire una forma primitiva di laser. Uno straordinario reperto pompeiano, racconta, inoltre anche di una antesignana della diapositiva.
Lente da vista ritrovata a Pompei
Lenti o amuleti?
Già a Tiro, a Cnosso e ad Al Fayum, in Egitto, erano stati rinvenuti cristalli e vetri lenticolari, poi interpretati come amuleti o come acciarini. Infatti, è da tempo largamente accreditato l’uso che gli antichi romani facevano di sfere di vetro più o meno appiattite per concentrare i raggi del sole e ottenere il fuoco.
Tuttavia, nel 1983, a Creta è stata ritrovata una lente concavo-convessa capace di ingrandire la visione fino a sette volte. Sulla sua superficie sono ancora visibili i microscopici segni di una raffinata lavorazione: la lente era stata molata con grande perizia fino ad ottenere la curvatura desiderata. E’ conservata nel museo di Iraklion insieme ad altre 23 lenti di eccellente fattura.
La tecnologia delle lenti è ancora più antica della civiltà romana come dimostrano i reperti di Cnosso, risalenti addirittura all’età del bronzo, periodo collocato fra il 3.500 il 1200 a.C.
Da Pompei provengono, oltre ai prismi di cristallo, di straordinaria precisione e regolarità (usati per scomporre la luce nei colori dello spettro) anche piccoli vetri più curiosi, rotondi, leggermente convessi, capaci di fornire una immagine nitida e ingrandita. Non sono stati trovati, tuttavia, occhiali veri e propri, con montatura.
Lente con ritratto rinvenuta a Pompei
Il problema delle fonti
Stranamente, mancano quasi del tutto fonti letterarie che parlino di questi oggetti come strumenti per la visione. E’ stato tramandato da Plinio il Vecchio come l’imperatore Nerone, forse miope, fosse solito assistere ai combattimenti dei gladiatori guardandoli attraverso un grosso smeraldo levigato. E’ però possibile che la pietra preziosa gli servisse da filtro solare, oppure per mitigare la vista del sangue che, pare, gli fosse insopportabile.
Altri interpretano diversamente il passo del grande naturalista romano: Nerone, per riposare la vista dopo le ore passate a osservare i giochi, ogni tanto avrebbe guardato attraverso la pietra verde per ristorare gli occhi. Alla gemma verde, si attribuivano, insieme a molte virtù, anche quella di ristorare la vista. E’ infatti vero che l’occhio umano distingue, preferenzialmente, prima il verde degli altri colori.
Ritratto di nerone su corniola. incisione del I secolo D.C.
Un utilizzo imprescindibile
Lo stesso anello di Carvilio - di cui abbiamo già scritto - utilizza un cristallo di rocca molato a lente per ingrandire un minuscolo busto-ritratto, cesellato nell’oro. Sono proprio i castoni e i sigilli romani montati, spesso, su anelli, a dimostrare l’indispensabile uso di lenti di ingrandimento. Come spiega l’ingegner Flavio Russo, autore di un’intera collana («Tecnhe» ed. Rivista Militare) ) dedicata alla tecnologia degli antichi: «E’ assurdo immaginare l’esecuzione dei microscopici castoni e cammei romani non disponendo di lenti di ingrandimento.
Senza contare, inoltre, che l’abilità artistica si conseguiva con l’aumento dell’età, esattamente al contrario dell’acutezza visiva che, con gli anni, diminuisce».
A maggior prova, abbiamo chiesto conferme a un noto artigiano romano, Otello Santucci, incisore in Roma da tre generazioni il quale spiega: «Se è vero che alcuni castoni romani erano abbastanza grossolani e avrebbero potuto essere incisi anche a occhio nudo, ve ne sono molti altri per i quali la minuzia dei dettagli non poteva prescindere dall’uso di una lente».
Enea curato dal medico
I primi «laser»
Ancora Plinio tramanda come nella medicina romana si utilizzasse la concentrazione dei raggi solari ottenuta grazie alle lenti: «Ho scoperto che tra i medici si crede non esistere miglior sistema di cauterizzare le parti del corpo ferite che impiegando una sfera di cristallo posta in maniera da essere attraversata dai raggi del sole».
La tecnica della cauterizzazione veniva impiegata, in genere, per arrestare le fuoriuscite di sangue, non solo per le ferite in battaglia, ma anche durante gli interventi chirurgici. La combustione dei tessuti portava alla coagulazione delle proteine producendo, così, un effetto emostatico. Si utilizzava, generalmente, un apposito strumento metallico, il cauterio, che veniva arroventato sul fuoco, ma, di certo, l’uso della lente, adatto magari a ferite non troppo estese, provvedeva in modo molto più preciso e, soprattutto, sterile.
Lente con ritratto rinvenuta negli scavi di Pompei
Pre-cinema romano
Le sorprese non finiscono qui. Ancora da Pompei, proviene un altro reperto straordinario - quanto misconosciuto - per la storia delle tecnologia. Si tratta di un perfetto ellisse lenticolare di cristallo, largo circa 2 cm, montato con due minuscole viti su un supporto di bronzo. Già le viti, di per se stesse, sono un unicum, ma ciò che più affascina è il ritratto di uomo eseguito con maestria sulla superficie trasparente. Disponendovi dietro la fiamma di una candela, oppure una lanterna, secondo Flavio Russo, era possibile proiettare su una parete bianca l’immagine del personaggio raffigurato, secondo lo stesso principio delle moderne diapositive.
Il manufatto romano sarebbe quindi l’antesignano della lanterna magica ufficialmente inventata nel 1645 dal gesuita Athanasius Kircher che, a propria volta, è stato definito il dispositivo di pre-cinema più antico che si conosca.
Le basi tecnologiche
Strano che queste straordinarie conquiste siano poco note al pubblico. Dopotutto, la vastità e la durata dell’Impero romano non potevano essere disgiunte da una capillare organizzazione pratica, e quindi tecnologica. Le fonti letterarie non ci aiutano troppo: nonostante ci siano pervenuti i nomi di pochi famosi sapienti, all’epoca, gli inventori non erano figure professionali riconosciute. Non vi era protezione giuridica per le invenzioni e lo stato romano non ne incoraggiava la diffusione.
Il pensiero platonico, per giunta, tendeva a considerare la tecnica come qualcosa di inferiore. Ancora fino a pochi decenni fa, l’archeologia si limitava a studiare le testimonianze artistiche, religiose e monumentali, tralasciando di indagare su quei manufatti della vita quotidiana che non si riconoscevano a prima vista. Alla fine del ‘900 tuttavia, la specializzazione degli archeologi ha favorito una maggiore attenzione verso gli aspetti tecnologici della civiltà romana, ma molto vi è ancora da scoprire e da studiare.
Alcuni diritti riservati.