Più del 50% delle persone con emofilia, malattia genetica e rara che in Italia colpisce 5mila persone, convive con il dolore cronico con pesanti conseguenze sulla qualità della vita. Spesso, però, questi pazienti tendono a considerarlo come ineluttabile.

Non è così.

Il dolore si può trattare efficacemente e anche prevenire. Per farlo, però, è necessario portare quest’aspetto all’attenzione degli ematologi e farli collaborare strettamente con i terapisti del dolore. Per questo nasce il progetto Heamodol, che coinvolgerà ematologi, terapisti del dolore e SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva) ed è promosso da Sobi Italia.

«L’obiettivo è di avvicinare due mondi che sono sempre stati distanti e raramente hanno avuto contatti - spiega Consalvo Mattia, Anestesista Rianimatore e Terapista del dolore presso il Dipartimento di Biotecnologie e Scienze Medico-Chirurgiche dell’Università di Roma La Sapienza. Il lavoro risulterà in una pubblicazione, in autunno, di un position paper che conterrà le prime raccomandazioni mai stilate sulla terapia del dolore nelle persone con emofilia.

IN CHE MODO COMBATTERE IL DOLORE

«La cultura della terapia del dolore, anche nel nostro ambito, fino ad oggi non è stata poi così approfondita» spiega Cristina Santoro, ematologa dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Umberto I di Roma.

«Sappiamo che non tutti i tipi di dolore sono uguali, ma il dolore deve comunque essere sempre considerato un importante campanello d’allarme. Il dolore negli emofilici adulti è dovuto maggiormente all’artropatia sviluppata negli anni; nei bambini, invece, il dolore è solitamente causato da un evento acuto, un emartro o un ematoma. Fortunatamente, grazie alla profilassi (cioè all’infusione regolare del fattore di coagulazione mancante a scopo preventivo), questi eventi acuti sono sempre meno frequenti».

LA GESTIONE DI GRUPPO

A sottolineare l’importanza del lavoro d’equipe nella gestione del paziente è Antonio Corcione, Presidente SIAARTI e Direttore della U.O.C. Anestesia e Rianimazione dell’ospedale Monaldi di Napoli, secondo il quale l’obiettivo è di eliminare il dolore. «Prima interveniamo, migliori saranno i risultati che potremo ottenere, e intervenire prima vuol dire farlo con un’équipe: il lavoro d’équipe è indispensabile, ognuno può arricchire con la propria esperienza e la propria professionalità, quindi ritengo che sia la base moderna per poter lavorare».

L’INDAGINE: IN CHE MODO LA MALATTIA LIMITA LA VITA DEI PAZIENTI

Secondo un’indagine condotta online dell’Osservatorio Malattie Rare su 93 persone con emofilia, la malattia limita aspetti fondamentali della vita nel 54% dei casi. Per costoro, i limiti dipendono nel 52% dei casi dal dolore dovuto ai sanguinamenti e ben nel 90% dei casi dalle artropatie dolorose sviluppate negli anni. Per gli under 25 va meglio: solo il 33% dichiara che la malattia limita fortemente la loro vita. Nel 100% dei casi però il limite dipende proprio dal dolore, in questo caso dal dolore acuto dovuto all’episodio emorragico.

I PROGRESSI DELLE TERAPIE

Inoltre l’arrivo dei farmaci a emivita prolungata ci ha fornito un’arma in più molto importante nella prevenzione degli episodi emorragici e in particolare dei microsanguinamenti che sono meno visibili e quindi spesso sottovalutati, ma altrettanto dannosi per la salute delle articolazioni. Tali farmaci sono in grado di ridurre i sanguinamenti e l’artropatia correlata, con un numero di infusioni inferiore rispetto ai farmaci tradizionali.

«Ciò ha un enorme impatto sulla qualità di vita dei pazienti: la riduzione delle infusioni – prosegue la Santoro – è più evidente per i farmaci a lunga emivita di FIX (emofilia B), che permettono di passare da due a una sola infusione settimanale per i bambini, e addirittura a una ogni due settimane per gli adulti, ma anche con i farmaci a lunga emivita di FVIII (emofilia A) è possibile ridurre le infusioni da tre a due a settimana, fino a una ogni 5 giorni nel 30% dei casi. Il tutto offrendo una maggiore protezione del benessere articolare di questi pazienti».

OBIETTIVO: AZZERARE IL DOLORE

«L’impegno di Sobi sul tema del dolore ha le sue radici profonde nella nostra convinzione di doverci prendere cura della persona con emofilia in tutti i suoi aspetti e non solo della parte strettamente legata alla terapia» afferma Maria Tommasi, Medical Director di Sobi Italia.

«Oggi, grazie alla crescente conoscenza dei meccanismi che regolano il funzionamento dei processi coagulativi e alle implicazioni che i fattori hanno sul benessere osteo-articolare, possiamo affermare che laddove la persona con emofilia avverta dolore, significa che non è perfettamente protetta. Tutto ciò si traduce con il passare del tempo in un danno serio e irreversibile alle articolazioni».


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