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Possono sbagliare a leggere, a scrivere e a fare i calcoli. E, così, finire tra «quelli che non studiano, sono distratti, non socializzano». Sono 350mila, in Italia, i bambini con un disturbo specifico dell’apprendimento. In ragione della condizione, spesso vengono «messi da parte» per la loro diversità. Una mossa che non aiuta, mentre si tratta di ragazzi i cui disturbi possono essere individuati e finanche sconfitti: in modo da permettere a bambini e ragazzi di completare gli studi e affrontare la vita senza alcun problema.

Come aiutare questi ragazzi?

Il modo migliore per tutelare i ragazzi con un disturbo specifico dell’apprendimento (Dsa) - quali dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia - «è sviluppare le loro potenzialità attraverso la creazione e il supporto di nuovi stili e modalità di apprendimento, più visive che scritturali, e tecniche specifiche alla problematica in atto», dichiara Maria Dimita, presidente e fondatrice de «Il Laribinto Onlus» (associazione milanese che supporta le attività dei bambini con un Dsa) e della Federazione Italiana Dislessia Apprendimento (FiDA).

Ricorrendo a metodologie supportate anche dall’utilizzo di device elettronici, eventualmente imparando prima la lezione a casa con l’aiuto della tecnologia e poi discutendone in classe assieme all’insegnante, questi ragazzi possono superare i propri limiti e raggiungere livelli di comprensione e apprendimento pari a quelli dei loro compagni di classe. Fin qui la teoria, perché nella realtà bambini e adolescenti con un disturbo dell’apprendimento continuano troppo spesso a finire ai margini del proprio contesto: non per cattiveria, ma perché il sistema scuola non è in grado di favorire una didattica di inclusione innovativa e interattiva in maniera ubiquitaria. Un simile approccio, oltre ad aiutare i ragazzi, permetterebbe di spostare l’attenzione dei compagni sulle loro peculiarità. E, di conseguenza, di rimuovere ogni «etichetta» forzatamente appiccicatagli addosso.

Dsa da identificare entro la seconda elementare

Il «ribaltone» culturale è dunque ancora lontano dall’ingresso nella scuola italiana. Una mancanza che, come esito, determina un ventaglio di conseguenze negative: un aumento dei tassi di abbandono scolastico, la richiesta crescente di figure di supporto quali tutor e genitori che assistano il ragazzo nello studio e nelle esercitazioni pratiche a casa, la diminuzione della resa scolastica, l’incremento di debiti formativi a fine anno. Eppure, tiene a precisare Tiziana Rossetto, presidente della Federazione Logopedisti Italiani, «parliamo di bambini intelligenti, in grado di partecipare attivamente alla vita di classe con misure compensative e funzionali al disturbo».

Fondamentale, in tal senso, è individuarli e trattarli entro il secondo anno della scuola primaria. Il logopedista , a quel punto, diventa una figura nevralgica: chiamata ad agire fin da quelli che vengono definiti prerequisiti, ovvero i processi cognitivo-linguistici che precedono le abilità di lettura e scrittura.

I ragazzi con un disturbo specifico dell’apprendimento popolano le scuole di ogni ordine e grado e si rilevano in misura maggiore in istituti tecnici e professionali. Che rapporto c’è tra la condizione e la scelta della scuola? «Spesso questi ragazzi vengono avviati a studi tecnici da insegnanti delle scuole medie - aggiunge Dimita -. Ciò accade perché si tratta di percorsi che vengono considerati più semplici e operativi rispetto ai licei, dove invece si registra comunque una percentuale simile di alunni che vanno male a scuola. Questo a dimostrazione del fatto che i ragazzi, con o senza un Ds, hanno le stesse difficoltà di apprendimento e le medesime potenzialità. Dunque a nessun alunno andrebbe preclusa la possibilità di intraprendere una carriera scolastica e professionale di successo, fino alla laurea».

Dislessia, disgrafia, discalculia o disortografia si rilevano con intensità maggiore al Nord rispetto al Sud del Paese (un gradiente determinato probabilmente da una maggiore sensibilità alla diagnosi). In particolare, nel Nord Ovest si registrano le percentuali maggiori, pari al 4,5 per cento.

Twitter @fabioditodaro

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