In caso di ictus, la tempestività è un fattore determinante. Perché un intervento precoce può fare la differenza nel percorso diagnostico-terapeutico dell’ictus in fase acuta. Gestire al meglio dunque l’emergenza è fondamentale per il successo della catena di cura. E usiamo il termine emergenza non a caso, ma proprio per ribadire che il fattore tempo è determinante per la corretta gestione di una patologia così grave.

«L’invecchiamento della popolazione ha portato a un aumento del numero di pazienti colpiti da ictus, ma oggi i pazienti possono contare su una maggiore efficienza della rete dell’emergenza che permette loro di arrivare in tempo utile per un trattamento» spiega Marina Diomedi, responsabile della Stroke Unit della Fondazione Policlinico Tor Vergata, uno dei quattro Centri Hub del Lazio per il trattamento dell’ictus. «È necessario però che il paziente e chi gli sta a fianco riconoscano i sintomi e agiscano con tempestività rivolgendosi a centri specializzati».

ICTUS: A CAUSARLO È L’IMPROVVISA OSTRUZIONE DI UN’ARTERIA CEREBRALE

«L’ictus colpisce 200mila persone ogni anno in Italia e rappresenta la seconda causa più comune di morte e la principale causa di disabilità nell’adulto per via delle conseguenze permanenti che può comportare: problemi di motilità, alla vista, di linguaggio e memoria, cambiamenti nella personalità e depressione. Complicanze che possono essere limitate grazie a un approccio qualificato» racconta Diomedi.

In caso di ictus ischemico, a causarlo è l’improvvisa ostruzione di un’arteria cerebrale con conseguente morte dei neuroni per mancanza di ossigeno e dei nutrimenti (in primis il glucosio) portati dal sangue alle cellule. La condizione nota invece come ictus emorragico è innescata «dalla rottura del vaso con conseguente travaso di sangue a livello intracranico».

«Alcuni segnali spesso sottovalutati ma in realtà importanti campanelli di allarme - prosegue la neurologa -, sono altamente predittivi di un attacco ischemico».

Tipici segnali del sopraggiungere di un ictus sono la comparsa improvvisa di asimmetria del volto, di debolezza o formicolio a un braccio o una gamba, la difficoltà di linguaggio, la perdita di equilibrio o coordinazione. «Sono segnali da non sottovalutare proprio perché possono indicare un’interruzione dell’apporto di sangue a un territorio cerebrale che, se non gestita tempestivamente, può portare a morte o a gravi disabilità permanenti» precisa l’esperta del Policlinico Tor Vergata. «In caso di emorragia cerebrale – aggiunge - il paziente può riferire un violento mal di testa: una cefalea improvvisa a colpo di pugnale. Anche in questo caso, il precoce riconoscimento dei sintomi e la gestione del paziente in un ambiente specializzato può fare la differenza, permettendo un trattamento adeguato».

I SEGNALI CHE POTETE SCOVARE GRAZIE ALLA SIGLA « FAST»

Quindi di fronte a chi, per esempio, improvvisamente manifesta difficoltà nel comprendere cosa viene detto e non riesce a parlare bene, o in caso di insorgenza improvvisa di un disturbo di forza a un braccio o a una gamba o se si riscontra un’insolita instabilità di marcia meglio chiamare immediatamente il 118.

L’acronimo FAST può essere d’aiuto per ricordare i segnali più comuni cui prestare attenzione e una sorta di “test” da fare in caso si sospetti un ictus:

· F come face (faccia): chiedere di sorridere o di soffiare per verificare una eventuale paresi facciale;

· A come arms (braccia): provare a sollevare sulla testa entrambe le braccia, da non sottovalutare se solo una non ce la fa a stare su;

· S come speech (linguaggio): chiedere di ripetere o elaborare una frase semplice, in caso di ictus si ha grandi difficoltà a eseguire il compito;

· T come time (cioè tempo) ma anche come telefono: perché riscontrando uno qualunque di questi sintomi è importante chiamare i soccorsi nel minor tempo possibile.

IN QUALE MISURA IL TEMPO DIVENTA UNA VARIABILE IMPORTANTE

Time is brain. «Ricorriamo a questa espressione proprio per sottolineare l’importanza di un intervento tempestivo, anche per garantire, ove possibile, un trattamento medico specifico, quale è la trombolisi endovenosa, attuabile solo entro 4 ore e mezzo dall’insorgenza dei sintomi» spiega Diomedi. Man mano infatti che il tempo passa e ai neuroni non arriva sangue, e quindi ossigeno e glucosio, questi muoiono.

«Allora la prima cosa da fare è chiamare la rete dell’emergenza, il 118, perché attraverso procedure codificate e pre-allertando la struttura di riferimento, si riducono i tempi di intervento e si favorisce una gestione ottimale del percorso ictus».

L’obiettivo è riaprire il vaso (nel caso di ictus ischemico) nel più breve tempo possibile per ridurre il danno e il rischio di complicanze. «E devo dire che negli ultimi 20 anni – afferma Diomedi – sono stati fatti passi da gigante sia nel migliorare la terapia della fase acuta, che attualmente si avvale sia del trattamento trombolitico che dell’approccio endovascolare in grado di estrarre direttamente il coagulo dall’arteria, sia nel migliorare la terapia di prevenzione secondaria finalizzata a evitare ulteriori eventi».

STROKE ACTION PLAN FOR EUROPE

La Stroke Alliance For Europe (Safe) e l’European Stroke Organization (Eso) hanno predisposto uno Stroke Action Plan For Europe 2018-2030 per sensibilizzare popolazione e operatori sanitari sull’importanza della prevenzione e di una gestione tempestiva dell’ictus.

«La rete europea si propone di sostenere la prevenzione primaria e secondaria, la definizione di un percorso di cura integrato, le modalità di intervento in fase acuta, la riabilitazione e la valutazione dei risultati post trattamento». In altre parole, la sfida è ridurre il numero di persone colpite da ictus, far sì che sempre più pazienti siano trattati all’interno di stroke unit dedicate, e che si diffonda una cultura della prevenzione che indirizzi in particolare le persone più a rischio verso uno stile di vita sano. Il rischio di ictus è infatti maggiore nel caso di pressione alta, diabete, presenza di cardiopatie (per esempio la fibrillazione atriale), colesterolo alto, fumo, sovrappeso, vita sedentaria.

«Una popolazione informata è dunque il primo anello del percorso di presa in carico del paziente» conclude Diomedi: una popolazione cioé in grado di riconoscere i campanelli d’allarme, ma anche consapevole dei corretti stili di vita e delle regole di prevenzione, «come dire addio alle sigarette, fare regolare attività fisica moderata, tenere il peso sotto controllo, non abusare di alcolici e controllare regolarmente la pressione arteriosa».