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Ogni anno in Italia sono oltre 150 mila le persone colpite da ictus cerebrale. Complice il miglioramento delle cure fortunatamente sono sempre di più gli individui che sopravvivono a questo evento.

Ad oggi si calcola che siano almeno 800 mila. Non sempre però il ritorno alla vita è quello che ci si aspetterebbe. Le complicanze post-ictus possono essere molto invalidanti e intervenire con una corretta riabilitazione è più che mai fondamentale. E’ questo il messaggio principale lanciato in occasione della XIV Giornata Mondiale contro l’Ictus da A.L.I.Ce. Italia Onlus, l’Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale.

Che cos’è l’ictus?

L’ictus è un’ostruzione a livello cerebrale delle arterie che garantiscono il corretto flusso di sangue causato dalla presenza di un coagulo. Quando ciò accade le aree a valle del blocco non possono essere sufficientemente irrorate e con il passare del tempo vanno incontro a morte cellulare. Ogni minuto che passa sono 1,8 milioni i neuroni persi. Ecco perché bisogna intervenire il prima possibile per evitare danni permanenti e la morte stessa.

Oggi si vive sempre di più

Ad oggi, a seconda delle caratteristiche dell’occlusione che provoca l’ictus, è possibile intervenire in due modi. Il primo prevede la somministrazione di alcune particolari molecole per disgregare l’ostruzione. Terapie che hanno cambiato la storia del trattamento degli ictus ma che non sempre funzionano, soprattutto quando il «blocco» riguarda i grandi vasi. Ed è in questi casi che «scatta» la seconda strategia di cura, la trombectomia endovascolare.

Questa tecnica consiste nell’inserzione di una vera e propria rete a livello dell’arteria ostruita. Con essa il chirurgo ricanalizza il flusso di sangue e riapre il vaso. Successivamente, appena lo stent viene rimosso, automaticamente il dispositivo porta via con sé il coagulo di sangue.

I danni possono essere permanenti

Grazie alle possibilità di intervento sempre migliori oggi molte persone sopravvivono agli ictus. Questo però porta con sé diverse conseguenze a seconda del danno. “I principali danni post-ictus -spiega il dottor Stefano Paolucci, Direttore di Unità Operativa Complessa di Neuroriabilitazione alla Fondazione Santa Lucia Irccs e Presidente Eletto della Società Italiana di Riabilitazione Neurologica (SIRN)- possono essere motori e non motori.

I primi, soprattutto in acuto, sono l’emiparesi e l’emiplegia, ovvero un’incapacità a muovere una parte del corpo. Quelli non motori invece affligogno l’area del linguaggio e dell’esplorazione spaziale. Non solo, nel lungo periodo chi supera un ictus può andare incontro a depressione, spasticità, dolore e problemi di deglutizione”. Problemi non di poco conto che devono essere affrontati attraverso un percorso di riabilitazione.

La riabilitazione è un processo lungo

«Il primo problema da affrontare -prosegue Paolucci- è la riabilitazione motoria. Questa viene fatta direttamente in ospedale già dai primi momenti. La vera criticità riguarda soprattutto la riabilitazione sul lungo periodo poiché per la varietà di danni occorre un approccio riabilitativo che coinvolga più professionisti».

Ed è su questo punto che A.L.I.Ce. Italia Onlus da anni si batte affinché nel nostro Paese vengano assicurati percorsi di neuroriabilitazione che, nei casi gravi, possano comprendere interventi multidisciplinari complessi, volti al recupero di facoltà non solo motorie ma anche cognitive, indispensabili per restituire autonomia alla persona e facilitare il suo auspicabile ritorno alla vita familiare, sociale e lavorativa. Percorsi purtroppo disponibili a pieno regime -secondo un’indagine di A.L.I.Ce. Italia Onlus in solo sei Regioni: Valle d’Aosta, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna e Marche. Nelle restanti, la documentazione che regola questo ambito di assistenza non è aggiornata, è dichiarata non operativa o non è pervenuta del tutto.

Non dimenticare le Stroke Unit

Attenzione però a pensare che la soluzione al problema ictus sia solo una questione di organizzazione dei percorsi di riabilitazione. «Il vero obbiettivo -conclude Paolucci- è riuscire a trattare in maniera efficace i pazienti in modo da ridurre al minimo i danni post-citus. Questo è possibile intervenendo nel minor tempo possibile grazie ad una capillare rete di Stroke Unit. Nel nostro Paese purtroppo esistono ancora troppe differenze territoriali».

@danielebanfi83