Dati scientifici alla mano intorno ai 50 anni inizia una lenta e graduale disaffezione nei confronti dell’attività fisica e anche un certo declino cognitivo. E’ il declino cognitivo a motivare la riluttanza all’esercizio o è l’inattività fisica a determinare il declino cognitivo?

Per rispondere all’interrogativo i ricercatori dell'Università di Ginevra (UNIGE) e del National Research Center PRN Lives hanno utilizzato un database di oltre 100.000 persone di età compresa fra i 50 e i 90 anni e ogni due anni, ne hanno valutato il potenziale cognitivo, per 12 anni. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Health Psychology e hanno evidenziato che in presenza del declino delle capacità cognitive si assiste a un importante rallentamento della propensione all’attività fisica.

Sono proprio le capacità cognitive a prevenire il declino fisico, molto più di quanto l’attività fisica riesca a prevenire il declino cognitivo. Questo significa che ad aver bisogno di grande allenamento è soprattutto il nostro cervello. «Gli studi interessati all’associazione tra declino cognitivo e fisico, confermerebbero che il declino fisico dipenda dal deterioramento di processi cognitivi volti alla pianificazione, controllo e coordinazione di schemi comportamentali in risposta a condizioni ambientali nuove e impegnative. Quest’insieme di attività mentali hanno in comune la caratteristica di essere operazioni complesse, non automatiche, mediate dai lobi frontali e sono attualmente denominate “funzioni esecutive”.

Allenare tali funzioni, così come le abilità cognitive in generale, è come allenare un muscolo, ovvero richiede un esercizio quotidiano e continuato» precisa Gioacchino Tedeschi presidente della SIN (Società Italiana di Neurologia) e Direttore I Clinica Neurologica e Neurofisiopatologia Azienda Ospedaliera Universitaria Università della Campania “Luigi Vanvitelli”.

Lavorare sulle proprie abilità cognitive

Se da un lato, quindi, è vero che intorno ai 50 anni un certo declino cognitivo e fisico è fisiologico, dall’altro lavorare sulle proprie facoltà cognitive consente di vincere la resistenza verso una vita attiva che alla lunga relega alla sedentarietà. Come allenare il cervello nella vita di tutti i giorni? «La partecipazione ad attività stimolanti e non routinarie come leggere un romanzo, ascoltare musica o svolgere cruciverba – spiega il dottor Tedeschi – rappresentano un ottimo allenamento per il cervello, contribuendo alla costituzione della cosiddetta “riserva cognitiva” ovvero la quantità di danno che il cervello può accumulare prima di tradursi in un’espressione clinica. D’altra parte, l’attività fisica non si svolge “da sola”, ma richiede il coinvolgimento di diversi network cerebrali che elaborano e integrano tra di loro le informazioni sensitive (posizione del corpo e dei segmenti corporei in movimento), quelle motorie e dell’equilibrio, nonché della stanchezza e del dolore.

Informazioni che “in continuo” vanno armonizzate per programmare step dopo step l’esercizio fisico, rappresentando quindi un impegno certamente non solo motorio ma anche cognitivo in senso più ampio - spiega ancora il professor Tedeschi - . Il lavoro cognitivo e fisico sono strettamente collegati tra di loro in un circuito virtuoso ed entrambe queste funzioni (cognitive e fisiche) vanno esercitate, in definitiva, per il benessere della persona».

Dati scientifici alla mano intorno ai 50 anni inizia una lenta e graduale disaffezione nei confronti dell’attività fisica e anche un certo declino cognitivo. E’ il declino cognitivo a motivare la riluttanza all’esercizio o è l’inattività fisica a determinare il declino cognitivo?

Per rispondere all’interrogativo i ricercatori dell'Università di Ginevra (UNIGE) e del National Research Center PRN Lives hanno utilizzato un database di oltre 100.000 persone di età compresa fra i 50 e i 90 anni e ogni due anni, ne hanno valutato il potenziale cognitivo, per 12 anni. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Health Psychology e hanno evidenziato che in presenza del declino delle capacità cognitive si assiste a un importante rallentamento della propensione all’attività fisica.

Sono proprio le capacità cognitive a prevenire il declino fisico, molto più di quanto l’attività fisica riesca a prevenire il declino cognitivo. Questo significa che ad aver bisogno di grande allenamento è soprattutto il nostro cervello. «Gli studi interessati all’associazione tra declino cognitivo e fisico, confermerebbero che il declino fisico dipenda dal deterioramento di processi cognitivi volti alla pianificazione, controllo e coordinazione di schemi comportamentali in risposta a condizioni ambientali nuove e impegnative. Quest’insieme di attività mentali hanno in comune la caratteristica di essere operazioni complesse, non automatiche, mediate dai lobi frontali e sono attualmente denominate “funzioni esecutive”.

Allenare tali funzioni, così come le abilità cognitive in generale, è come allenare un muscolo, ovvero richiede un esercizio quotidiano e continuato» precisa Gioacchino Tedeschi presidente della SIN (Società Italiana di Neurologia) e Direttore I Clinica Neurologica e Neurofisiopatologia Azienda Ospedaliera Universitaria Università della Campania “Luigi Vanvitelli”.

Lavorare sulle proprie abilità cognitive

Se da un lato, quindi, è vero che intorno ai 50 anni un certo declino cognitivo e fisico è fisiologico, dall’altro lavorare sulle proprie facoltà cognitive consente di vincere la resistenza verso una vita attiva che alla lunga relega alla sedentarietà. Come allenare il cervello nella vita di tutti i giorni? «La partecipazione ad attività stimolanti e non routinarie come leggere un romanzo, ascoltare musica o svolgere cruciverba – spiega il dottor Tedeschi – rappresentano un ottimo allenamento per il cervello, contribuendo alla costituzione della cosiddetta “riserva cognitiva” ovvero la quantità di danno che il cervello può accumulare prima di tradursi in un’espressione clinica. D’altra parte, l’attività fisica non si svolge “da sola”, ma richiede il coinvolgimento di diversi network cerebrali che elaborano e integrano tra di loro le informazioni sensitive (posizione del corpo e dei segmenti corporei in movimento), quelle motorie e dell’equilibrio, nonché della stanchezza e del dolore.

Informazioni che “in continuo” vanno armonizzate per programmare step dopo step l’esercizio fisico, rappresentando quindi un impegno certamente non solo motorio ma anche cognitivo in senso più ampio - spiega ancora il professor Tedeschi - . Il lavoro cognitivo e fisico sono strettamente collegati tra di loro in un circuito virtuoso ed entrambe queste funzioni (cognitive e fisiche) vanno esercitate, in definitiva, per il benessere della persona».