I dati lo dimostrano in ogni settore della medicina: dove ricerca e attività clinica vanno di pari passo, la diagnosi, il trattamento e la prognosi del malato sono migliori. Investire nella ricerca e nell’innovazione, «creando uno stretto legame tra assistenza e ricerca nell’ambito di un contesto etico e meritocratico», dice Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale SIMA, è la soluzione a molti problemi che affliggono la sanità italiana, dalle diseguaglianze sanitarie nord-dus, alla carenza dei medici, alla fuga all’estero dei cervelli formati nelle nostre università, ai problemi di accesso alle scuole di specializzazione. La cura per guarire il sistema sanitario nazionale arriva dalle colonne della rivista “The Lancet Public Health”, sottoscritta da un gruppo di medici, ricercatori e docenti afferenti all’Istituto Scientifico Biomedico Euro Mediterraneo (ISBEM), alla Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), alla Società Italiana di Sanità Pubblica e Digitale (SISPED), al Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e all’Università.
«È il momento di agire», afferma Prisco Piscitelli, epidemiologo ISBEM e vicepresidente SIMA, «Un’‘iniezione’ di ricercatori nel nostro Servizio Sanitario Nazionale - non solo medici ma anche biologi, biotecnologi, farmacisti, ingegneri biomedici - con il loro carico di innovazione scientifica e tecnologica, fino a raggiungere i piccoli ospedali della periferia italiana, gli ambulatori ASL e i gli studi degli specialisti convenzionati e dei Medici di Medicina Generale, rappresenta l’unica via per superare i problemi che affliggono la sanità e al contempo l’università italiana».
«Se migliaia di medici e ricercatori italiani hanno lasciato il nostro Paese negli ultimi decenni è infatti a causa della carenza di opportunità, complessità burocratiche nelle procedure di reclutamento, salari inadeguati e scarse prospettive di carriera sulla base di risultati misurabili», sottolinea Antonella De Donno del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali dell’Università del Salento a Lecce.
Poi, tra i punti sollevati, c’è la necessità di pianificare l’accesso alle facoltà di medicina sulla base delle necessità del paese, di aumentare le borse di studio, promuovere l’internazionalizzazione con l’apertura verso altri centri non italiani attraverso gemellaggi, dottorati e iniziative anche da parte delle società scientifiche. «Riteniamo che tutti gli attori del sistema sanitario, dai Medici di Medicina Generale agli specialisti, dagli infermieri al personale amministrativo, debbano essere coinvolti in attività di ricerca, introducendo soluzioni tecnologiche innovative in tutti i contesti e aumentando il livello di digitalizzazione, telemedicina e gestione dei ‘big data’ per l’assistenza domiciliare, in particolare per i pazienti con patologie croniche e per quelli più anziani - conclude Annamaria Colao della Cattedra UNESCO per l’Educazione alla Salute e Sviluppo Sostenibile all’Università Federico II di Napoli - Riducendo la necessità di ospedalizzazioni dei malati cronici, questo tipo di approccio dovrebbe rivelarsi più sostenibile anche dal punto di vista economico, considerando i costi sostenuti dalle famiglie per spostarsi in altre regioni».