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Il mondo intero si coalizza per combattere una delle più grandi minacce per l'umanità: i cosiddetti “superbugs” cioè i batteri che resistono agli antibiotici. Tutti i 193 paesi che aderiscono alle Nazioni unite stanno per firmare un impegno per sconfiggere il fenomeno delle infezioni antibiotico-resistenti. Se il programma avrà successo, sostengono gli esperti, si potranno evitare 700 mila morti all'anno.

La dichiarazione che verrà firmata all'Onu può essere definita storica. A oggi esistono solo tre precedenti analoghi: l'accordo globale per la lotta all'Hiv nel 2001, quello del 2011 sulle malattie non trasmissibili e quello del 2013 sul virus Ebola. I firmatari si sono dati due anni di tempo per arrivare a formulare un piano d'azione. Secondo gli esperti, se non si interviene immediatamente c'è il rischio che nel giro di pochi anni il trattamento di alcune infezioni diventi impossibile. All'origine del problema c'è l'abuso di medicinali antimicrobici che vengono somministrati con troppa leggerezza sia agli umani, sia agli animali e in agricoltura.

Proprio in questi giorni una ricerca del Journal of American medical association ha lanciato un nuovo allarme per l'utilizzo eccessivo negli ospedali americani non solo degli antibiotici comuni, ma anche di quelli del tipo più aggressivo, che andrebbero conservati solo nei casi in cui ogni altra terapia ha fallito. Secondo il rapporto, messo a punto dal Cdc (Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie), più della metà dei pazienti riceve almeno un antibiotico nel corso delle ospedalizzazioni, i medicinali con il più notevole aumento di prescrizioni sono i più potenti. In testa il “carbanapem”, considerato l'ultima spiaggia in caso di resistenza, il cui consumo è salito del 37% nei nosocomi.

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