ROMA. «Questo dovrà essere il Governo della lotta alle diseguaglianze», ha dichiarato fresco di nomina il neo-ministro della Salute, Roberto Speranza. E allora ci sarà da doversi rimboccare bene le maniche perché in questi ultimi anni quelle degli italiani di fronte alla salute sono aumentate a vista d’occhio. A rilevarlo è l’ultimo Rapporto dell’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità, sulle condizioni di vita in Europa.
Se a inizio millennio l’aspettativa di vita nel nostro Paese era di 3 o 4 anni maggiore tra i ceti più avvantaggiati rispetto a quelli più deboli, oggi tra gli uomini la differenza è di ben 7 anni, quasi 85 tra quelli con livello di istruzione più alto, 78 per quelli che hanno abbandonato prima la scuola. Poco meglio va per le donne. Tutto questo nonostante la speranza di vita sia aumentata in media di un anno buono nell’ultimo decennio. E non è solo una questione di anni che mancano alla conta dei più deboli, ma anche di qualità della vita che fa difetto a quegli anni. Tra i meno istruiti sono il 12% in più di quelli con altro grado di istruzione ad accusare uno stato di salute non buono. Tra gli over 65 poi la forbice si allarga e di molto. Se prendiamo le donne italiane del quintile più alto di reddito a lamentarsi della propria condizione fisica è il 13%, nelle fasce medie si sale al 15 per arrivare a oltre il 20% di quelle collocate nella fascia di reddito più bassa. Differenze simili, anche se con percentuali inferiori, si registrano anche tra gli uomini.
Il problema è che il cattivo stato di salute si traduce anche in minori abilità nelle attività quotidiane, lavoro in testa, così il cane finisce per mordersi la coda perché se chi è più povero è meno in salute, questo finisce per far precipitare i più deboli ancora più in basso nella scala sociale. Anche in questo caso a parlare sono i numeri. Limitazioni nella vita di ogni giorno le accusano il 13% delle donne con redditi più elevati, oltre il 20% ammette di avere problemi tra quelle del quintile di reddito più basso. Differenze che vanno invece dal 10 al 15% tra gli uomini.
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marta paterliniAppartenere ai ceti sociali disagiati fa male e molto anche alla salute mentale. Il rapporto Oms afferma che uomini e donne con redditi più modesti hanno il doppio delle probabilità di scontrarsi con depressione e altri disturbi psichici rispetto a chi può contare su ben altre ricchezze. E l’Italia non fa eccezione. Gli italiani più ricchi con una cattiva salute mentale sono infatti il 10%, fetta che diventa via via più ampia con l’aumentare delle capacità reddituale, fino ad arrivare al 30% di chi rientra nell’ultimo quintile di reddito.
Il rapporto analizza poi nel dettaglio le cause delle diseguaglianze sanitarie prodotte da fattori sociali. Al primo posto ci sono l’insicurezza sul reddito e la protezione sociale. «Non riuscire a far quadrare i conti» è nel 35% dei casi all’origine delle diseguaglianze in sanità. Generato per un altro 29% dalle condizioni di vita, come non riuscire a vivere in case dignitose o in quartieri sicuri e meno inquinati, oppure più semplicemente assicurarsi il riscaldamento e tre pasti al giorno.
A sorpresa l’accesso e la qualità dell’assistenza sanitaria incidono solo per il 10%, mentre in quasi due casi su dieci a creare diseguaglianza di fronte alla salute sono il sentimento di isolamento e i bassi livelli di fiducia verso gli altri. Decisori politici in testa.
Il sociologo ed economista inglese William Davies in un suo recente saggio ha citato una gran quantità di studi che dimostrerebbero un collegamento tra cattive condizioni di salute e successi elettorali di sovranisti e populisti nel Vecchio come nel Nuovo Continente. «L’esperienza del deterioramento fisico – scrive - genera paura e provoca il desiderio di un tipo di gestione politica diversa, che metta da parte esperti e tecnocrati». Colpevoli secondo Davies di aver improntato scelte e proposte su indicatori e statistiche che parlano di miglioramento delle condizioni di vita e di salute. Senza riuscire a interpretare il disagio di chi in quelle medie non si riconosce proprio.