Sessant’anni fa il primo allarme. Oggi la scoperta dei meccanismi che determinarono quel rapido aumento dei casi di focomelia che, seppur in maniera tardiva, portò al ritiro del farmaco (1961). Il talidomide torna a far parlare di sé. Del farmaco, utilizzato tra il 1958 e il 1966 anche in Italia dalle donne incinte per ridurre la portata delle nausee, si è scoperto il meccanismo d’azione responsabile della capacità di indurre un anomalo sviluppo di alcuni organi del feto durante la gravidanza. A fare luce è stato un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, dell’Università e dell’Istituto di Tecnologia di Tokyo, in un lavoro pubblicato sulla rivista «Nature».
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FABIO DI TODAROLa storia del talidomide
Il talidomide, commercializzato per la prima volta in Germania nel 1956 e a seguire in 46 Paesi, fu il primo farmaco riconosciuto come causa di malformazioni nell'uomo. L'esposizione materna nelle quattro-sei settimane dopo il concepimento - incentivata anche da una pubblicità che sottolineava la «sicurezza» del prodotto - è poi risultata associata a gravi difetti cardiaci, renali e di riduzione degli arti. Oltre a malformazioni esofagee, duodenali e anomalie dell'orecchio esterno. Oltre all’osservazione dei casi, a svelare la correlazione fu uno studio pubblicato nel 1961 sulle colonne di «The Lancet». Nel giro di pochi mesi, il farmaco fu ritirato dal commercio: non prima però che tanti neonati morissero subito dopo la nascita. Mentre altri seguirono la stessa sorte nei primi anni di vita, a causa di gravi difetti cardiaci. Ancora oggi, manca una stima degli aborti indotti dal talidomide, mai sottoposto a una fase di sperimentazione su animali in gravidanza.
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Alle origini delle malformazioni
In tutti questi anni, numerosi studi sono stati condotti per comprendere il meccanismo alla base dell’azione del talidomide. Ma nessuno era arrivato a conclusioni certe. Adesso, invece, i ricercatori sono riusciti a dimostrare il danno a carico della proteina p63, essenziale durante lo sviluppo embrionale: per la formazione degli arti, del palato, della pelle e del cuore. Ben cinque sindromi umane risultano infatti dovute a mutazioni nel gene p63 e i pazienti affetti da queste sindromi hanno malformazioni agli arti, al palato, al cuore e alla pelle. Lo studio è partito dall’osservazione della similarità nelle malformazioni dei «bambini talidomidici» con quelle dei pazienti affetti da altre sindromi dovute sempre mutazioni in p63. Quella che si è poi rivelata l’origine della malformazione era dunque un’ipotesi più che fondata già all’inizio dello studio. La conferma è giunta dalle indagini condotte su un pesce d’acqua dolce (zebra fish) usato come modello. Il talidomide, stando a quanto si è visto, è responsabile della degradazione della proteina p63. E, di conseguenza, condiziona la sua interazione con una molecola nevralgica per lo sviluppo delle pinne (gli arti, nell’uomo) e delle vescicole otiche (corrispondenti alle orecchie). Aumentando sperimentalmente i livelli di p63 negli embrioni di zebra fish trattati con talidomide, si è osservata una progressiva normalizzazione dello sviluppo dei medesimi organi.
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Cosa ne è oggi del talidomide?
La vendita di talidomide è stata nuovamente approvata alla fine degli anni `90 nella maggior parte dei Paesi occidentali, alla luce della sua attività antitumorale. L'interesse è cresciuto anche in ragione di un suo possibile utilizzo contro il morbo di Crohn . Per cautelarsi, però, sono stati adottati stretti sistemi di controllo al suo impiego, al fine di prevenirne l'esposizione in corso di gravidanza.
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Dr. Lucia Vecoli«Il disastro del talidomide non è un caso chiuso, in quanto una seconda ondata di bambini malformati si è registrata a partire dal 2000 specialmente in Brasile, dove il farmaco è largamente utilizzato per la lebbra - afferma Luisa Guerrini, associato di biologia molecolare all’Università di Milano e promotrice della ricerca -. Questo studio, tuttavia, sarà sicuramente utile nel dirimere le richieste di indennizzo delle vittime del talidomide, in quanto dimostra che il farmaco non ha nessuna ripercussione a livello del Dna, ma soltanto un effetto transitorio sulla proteina p63».
Twitter @fabioditodaro