«Chi è l’ultimo?». Dopo questa famigerata frase inizia l’attesa. È quanto accade in un qualsiasi studio di medicina di base. Aspettando il proprio turno - tra una persona e l’altra il flusso è rallentato da chi dice «devo solo ritirare una ricetta» - il pensiero va subito al tempo che il medico dedicherà alla visita. Nel nostro Paese, ultimi studi alla mano datati 2015, mediamente 9 minuti. C’è chi però sta peggio e chi molto meglio.
A tracciare una classifica di quanto durano i colloqui con il medico di base ci ha pensato Greg Irving della University of Cambridge in uno studio pubblicato sul British Medical Journal. I risultati non sono per nulla omogenei: meno di 5 minuti per metà della popolazione mondiale con un minimo di 48 secondi in Bangladesh e oltre 22 minuti in Svezia.
La classifica
Lo studio dei ricercatori inglesi aveva un preciso intento, ovvero studiare l’impatto potenziale su pazienti e sistema sanitario della lunghezza delle visite dal medico. Per fare ciò gli autori dello studio hanno utilizzato i dati provenienti da 178 studi relativi a 67 Paesi per un totale di quasi 29 milioni di visite. Oltre al caso limite della nazione asiatica si va da un minimo di 5 minuti per l’Austria a salire: Germania 7,6 minuti, Gran Bretagna (9,22), Danimarca (10), Olanda (10,2), Spagna (10,4), Malta (14), Lussemburgo (15), Francia (16), Svizzera (17), Finlandia (17,9), Bulgaria (20) e Svezia (22,5). Nello studio non è stata analizzata l’Italia ma secondo un’indagine della Società Italiana di Medicina Interna il tempo medio di una visita non supera i 9 minuti. Un tempo dunque del tutto simile a quanto accade Oltremanica.
L’empatia con il paziente
La statistica italiana aggiunge però qualcosa che lo studio inglese non fa trasparire: in quei nove minuti totali già dopo 20 secondi il racconto del paziente viene interrotto dalle domande del dottore che, per due terzi del colloquio, tiene gli occhi incollati al computer. Una modalità che fa crollare così l’empatia tra medico e assistito. Eppure nell’economia globale del nostro sistema sanitario un maggiore ascolto porterebbe benefici a non finire. Diverse indagini dimostrano che il rapporto medico-paziente può considerarsi già una forma di terapia: un buon rapporto non solo riduce di quattro volte il rischio di ricoveri ma aumenta di oltre il 30% le probabilità di tenere sotto controllo ipercolesterolemia, diabete e rischio cardiovascolare riducendo il pericolo di complicanze e lo stress generato dagli accertamenti diagnostici. Per contro - e lo studio inglese lo afferma chiaramente - a visite sempre più corte si associano prescrizioni di molti farmaci e un uso eccessivo di antibiotici.
La qualità dell’ascolto
Attenzione però a pensare che i medici non siano consci del problema. Da un’indagine presentata in febbraio dal Tribunale per i diritti del malato e da Cittadinanzattiva emerge che un medico su tre ritiene insufficiente il tempo dedicato ad ogni assistito. Quanto dovrebbe allora durare una visita per essere considerata soddisfacente? In questo caso ci viene in aiuto uno studio dell’Università di Basilea. Indipendentemente dalla durata della visita è il tempo dedicato all’ascolto a fare la differenza: durante lo studio i dottori hanno affrontato un percorso di formazione con un’attenzione particolare all’aspetto dell’ascolto attivo. I risultati hanno indicato che i medici, in realtà, non rischiano di essere sommersi di parole dai loro pazienti. Per l’80% degli assistiti due minuti di racconto e di ascolto attivo da parte del professionista sono sufficienti per uscire soddisfatti dalla visita.
L’abito fa il monaco
Ma c’è di più e i medici di base dovrebbero prendere nota. Il paziente medio non solo guarda al tempo dedicato con tanto di cronometro ma è molto attento al dress-code. Anche in questo caso ci aiuta uno studio del British Medical Journal: l’apparenza è un fattore chiave per conquistare la fiducia di un paziente. Consigli? Per le donne vietate gonna sopra al ginocchio, sandali e orecchini vistosi. Per l’uomo banditi i capelli lunghi. Per entrambi via anelli, piercing e scarpe da tennis. Ah, non dimenticatevi il camice.
@danielebanfi83
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