A prescindere dal sesso, visto che il problema è tutt’altro che una prerogativa esclusiva delle donne, è una condizione presa sotto gamba, soprattutto in ragione del disagio psicologico che provoca. L’incontinenza urinaria, secondo gli esperti, riguarda oltre tre milioni di italiani. Può avere cause neurologiche o risultare come la conseguenza di interventi chirurgici effettuati nella zona pelvica, in prossimità della vescica. A soffrirne maggiormente sono le signore, ma anche una quota compresa tra il cinque e il dieci per cento degli uomini over 40. Ad accomunare i pazienti sono la vergogna e l’imbarazzo, che spesso si concretizzano con il rifiuto di rivolgersi a uno specialista. Eppure oggi una soluzione al problema esiste, anche se in pochi la conoscono.
UNA RISPOSTA TERAPEUTICA DALLA TOSSINA BOTULINICA
L’ultima opzione terapeutica consiste nell’infiltrazione vescicale della tossina botulinica, da prendere in considerazione nei casi in cui il trattamento farmacologico orale sia già fallito.
L’approccio è mini invasivo, ripetibile (un paio di volte all’anno) e - soprattutto - interamente a carico del sistema sanitario nazionale. L’iniezione della tossina botulinica si rivolge a chi ha un problema d’incontinenza da urgenza spesso secondaria a un’iperattività del muscolo vescicale, che determina la necessità e l’urgenza di correre improvvisamente al bagno.
In Piemonte e nel Lazio le Regioni hanno approvato un «pacchetto ambulatoriale complesso specifico» che consiste in un sistema di accesso al percorso diagnostico e terapeutico in ambiente pubblico, per le persone incontinenti. La prestazione può essere erogata in sede ambulatoriale, in day hospital o talvolta con un ricovero: a seconda dell’organizzazione della singola regione e delle condizioni di salute del paziente. La durata di azione va dai sei ai dieci mesi, a seconda della causa che determina l’incontinenza. Il trattamento, dunque, può essere eseguito con una frequenza di una o due volte l’anno.
VANTAGGI ECONOMICI ANCHE PER LE CASSE DELLO STATO
Come già detto, per adesso soltanto il Piemonte e il Lazio si sono attrezzate per facilitare il percorso terapeutico del paziente incontinente. Ma le società scientifiche - la Società Italiana di Urodinamica, la Fondazione SIU Urologia, l’Associazione italiana di Urologia ginecologica e del Pavimento pelvico e la Fondazione Italiana Continenza - stanno facendo pressing sul ministero della Salute per fare in modo che il «pacchetto» di prestazioni ambulatoriali approdi nel giro di un anno anche in tutte le altre Regioni.
«In questo modo il paziente, invece di assumere farmaci o indossare pannoloni, avrà un risultato risolutivo quasi immediato - afferma Mauro Cervigni, responsabile del centro di medicina e chirurgia ricostruttiva pelvica femminile del policlinico Gemelli di Roma - . In genere l’effetto è visibile a partire da due-tre settimane dopo il trattamento e risulta durevole per oltre sei mesi».
Il vantaggio non riguarderebbe soltanto il paziente, ma pure lo specialista, che «opererebbe in un percorso chiaro e ben delineato», aggiunge Roberto Carone, direttore del reparto di neurourologia dell’azienda ospedaliero-universitaria Città della Salute di Torino. Senza considerare il ritorno economico, visto che «per il 2016 la gestione dell’incontinenza costerà al sistema sanitario nazionale qualcosa come 360 milioni di euro», chiosa Antonio Carbone, direttore dell’unità operativa complessa di urologia al policlinico Umberto I della Capitale.
PANNOLONI GRATUITI, MA NON SEMPRE SODDISFACENTI
A incidere maggiormente sui costi dell’incontinenza è l’acquisto dei pannoloni, che a differenza dei farmaci (interamente a carico dei pazienti) vengono forniti dalle Asl locali a cadenza trimestrale. Ciò non vuol dire, però, che il servizio sia sempre efficiente. Ci sono pazienti per cui la fornitura risulta insufficiente e altri che lamentano una scarsa qualità dei prodotti.
Nulla di cui sorprendersi, dal momento che come al solito ogni Regione fa per sé e chi insegue il risparmio a qualunque costo spesso lo ottiene a scapito della qualità. I disagi riguardano anche i parenti, i cosiddetti caregiver, molti dei quali considerano pesante il carico assistenziale e scarse le informazioni disponibili per la gestione dell’incontinenza.
Twitter @fabioditodaro
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