Secondo la definizione dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) le mutilazioni genitali femminili (MGF) consistono nella rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o in modificazioni indotte per ragioni culturali, ma non terapeutiche.

Questa pratica si perde nella notte dei tempi: a metà degli Anni 80 sono stati ritrovati i cadaveri di due donne vissute nel neolitico che mostravano i segni dell’infibulazione. Nello specifico, mira a restringere l’ingresso vaginale con escissione parziale o totale dei genitali esterni.

Ogni anno il 6 febbraio le Nazioni Unite invitano alla tolleranza zero nei confronti delle MGF: si stima che vi siano state sottoposte 200 milioni di donne nel mondo e che ogni anno interessi almeno 3 milioni di bambine. Si tratta di una sofferenza fisica non da poco, poiché le MGF vengono ottenute senza anestesia e avvalendosi di coltelli da cucina, vetri o pietre taglienti.

Un rito di passaggio

Le MGF rappresentano un rito che consente alle donne di entrare a pieno titolo nella loro società di appartenenza e di essere rispettate per la loro integrità morale: a tal proposito Emanuela Zuccalà, giornalista freelance, scrittrice e regista specializzata in diritti delle donne nonchè autrice del progetto multimediale Uncut, che in maniera molto intima, attraverso foto e interviste, racconta proprio le MGF spiega: «Tra i Paesi che ho indagato c’è il Somaliland, nel Corno d’Africa. Qui è stato molto difficile far raccontare alle donne la loro esperienza personale d’infibulazione, sebbene questo Paese registri un’incidenza di MGF che si avvicina al 100%. Chi accetta di parlarne è perché, il più delle volte, ha acquisito la consapevolezza che si tratta di una violazione di ogni diritto delle donne, che nulla ha a che vedere con una presunta rispettabilità morale. Quello che colpisce è che tale presa di coscienza arriva non solo da un’élite femminile urbana e istruita, che ha viaggiato all’estero, ma anche da donne semplici, che vivono in zone rurali isolate e tradizionaliste, e che pure, per amore delle figlie, hanno il grande coraggio di sfidare la loro società risparmiando alle stesse una simile sofferenza».

L’importanza della legislazione

Al di là dei motivi che possono indurre alla pratica, al fatto che può essere più o meno diffusa, vietata anche in molti Paesi Africani, poiché l’Africa è comunque un grande continente con gruppi etnici e tradizioni molto variegate, è opportuno sottolineare come vi siano Paesi che pur avendo vietato per legge le MGF, si ritrovino a convivere con il ripetersi della pratica stessa in molte zone rurali, dove non si conosce l’esistenza di una legislazione o comunque dove la cultura tradizionale è considerata al di sopra di ogni elemento giuridico. Proprio in queste zone le MGF sono spesso portate avanti in clandestinità, in condizioni igienico sanitarie più che precarie.

Non cadere nella banalizzazione

Il tema è estremamente delicato: il rischio adottando un atteggiamento insensibile, superficiale è quello di andare a creare disagio. In quest’ottica l’occidente ha un doppio impegno: puntare all’eradicazione totale di questo rito e nel contempo tutelare la dignità e la serenità di quelle donne o bambine che si sono già sottoposte all’intervento come spiega la dott.ssa Marica Livio, etnopsicologa: «Le MGF sono pratiche tradizionali e parte integrante di sistemi di costruzione identitaria complessi e articolati. I cambiamenti sono in corso e devono essere gestiti dall’interno. Occorre prevenire la prosecuzione delle pratiche in Italia con un lavoro capillare di informazione corretta agli operatori e dialogo con le famiglie. E’ necessario tenere conto della cultura che da secoli si portano dietro e di come determinati riti facciano parte integrante della vita di milioni di persone. Il cambiamento, dunque, deve anche essere curato dal punto di vista culturale con sapienza e delicatezza».

L’importanza di una presa di posizione tutta al maschile

La sola presa di posizione al femminile non basta come invita ancora una volta riflettere Emanuela Zuccalà: «Nei Paesi africani che hanno registrato grandi progressi nella diminuzione delle MGF, come per esempio il Kenya e il Senegal, si è visto quanto sia determinante una presa di posizione chiara da parte degli uomini: fino a quando ci saranno capi-villaggio convinti che la stessa definizione di femminilità non possa prescindere da una mutilazione genitale, ci saranno donne che continueranno a subirla. Quando invece i capi-villaggio e soprattutto i leader religiosi si persuadono che il benessere delle donne produce benessere e prosperità per l’intera comunità, e iniziano a loro volta un’opera di sensibilizzazione contro le MGF, le persone sono più propense ad abbandonare questa pratica tradizionale».

Proprio per la sua profonda sensibilità e conoscenza dell’argomento Emanuela Zuccalà è stata invitata, oggi 6 febbraio, al Parlamento Europeo di Strasburgo per riferire la sua personale esperienza in merito a tale questione, tanto delicata e che riguarda ancora, un numero così elevato di donne.

Riti di Passaggio alternativi

La consapevolezza che il passaggio dall’infanzia all’età adulta può realizzarsi a prescindere dalle MGF rappresenta uno dei pilastri di intervento anche per Amref, la principale organizzazione sanitaria africana che lavora da decenni in comunità della Tanzania, del Kenya, dell’Etiopia, dell’Uganda, del Malawi e del Senegal.

L’Amref si è impegnata e continua a farlo, lavorando con i governi e i Ministeri competenti, per sostituire le MGF con Riti di Passaggio Alternativi (ARP) ovvero per creare alternative culturali guidate dalla Comunità di origine stessa delle ragazze e che quindi hanno un elevato livello di appropriatezza e accettabilità poichè combinano la tradizionale cerimonia con l’educazione sanitaria sessuale e riproduttiva.

L’azione di Amref non si limita alla sola Africa, come spiega la dott.ssa Paola Magni, responsabile dei progetti sulle MGF: «Mutilazioni Genitali Femminili: azioni di contrasto e percorsi formativi tra Africa e Italia è Il progetto che vuole contrastare le MGF in Italia, a Roma in particolare, tramite una strategia integrata di formazione degli operatori socio-sanitari, di empowerment e integrazione delle diaspore più a rischio di MGF, in particolare per le donne in qualità di agenti di cambiamento, di comunicazione e sensibilizzazione per il più ampio pubblico. Il progetto, realizzato in partership con il sistema sanitario nazionale, intende quindi creare ponti tra competenze complementari in Africa e in Italia, per offrire risposte appropriate a un fenomeno che, accompagnandosi alle crescenti migrazioni internazionali, dovrà essere affrontato in modo sempre più strutturato in Italia nei prossimi anni».


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