«Quell’agente patogeno, mille volte più virulento di tutti i microbi: l’idea di essere malati». E’ una frase di Marcel Proust (Parigi, 10 luglio 1871 – Parigi, 18 novembre 1922), uno dei più famosi ipocondriaci della storia.
A sua «discolpa» va detto che lo scrittore francese era di salute cagionevolissima. Ancora bambino, dai dieci anni, iniziò a manifestare una forma asmatica di origine nervosa che lo tormentò per tutta la vita, portandolo, infine, alla tomba. Gli attacchi erano lunghi, violenti e se ne verificano almeno una decina al giorno. Questa tara fisica lo portò sempre più a sviluppare forme nevrotico-depressive aggravate anche dalle conoscenze mediche che gli derivavano dal padre, un illustre professore di Igiene.
Una immagine di Marcel Proust
Oppresso dalla paura di non riuscire a portare a termine la sua monumentale opera «Alla ricerca del tempo perduto», era divenuto schiavo di una serie di maniacali accortezze cui sottoponeva anche la servitù e i suoi visitatori. Non sopportando i rumori forti viveva recluso – quasi come un «hikikomori» ante litteram - in una stanza insonorizzata da pannelli di sughero, materiale verso il quale contrasse poi una forma allergica. Proibiva a chiunque di portare fiori i cui pollini, riteneva, avrebbero aggravato la sua asma, né tantomeno poteva soffrire i profumi. Consumava alcune decine di asciugamani al giorno, viveva e scriveva a letto, era preda del terrore dei viaggi e si sottoponeva a periodiche purghe che gli procuravano dolorosi crampi.
Una scena de «Il malato immaginario»
Per quanto nel caso dello scrittore francese il timore dei malanni fosse giustificato dalla salute obiettivamente malferma, l’ipocondria è – per citare la scrittrice Dani Shapiro – «un pericoloso piccolo, infido demonio. Non ti ucciderà, ma toglierà il colore dalla tua vita in modo tale che nei momenti più dolci, i momenti di grazia, tu sia colpito da quel sussurro nelle tue orecchie che ti porterà via tutto. Io sono malato, io sto morendo, solo che non lo so ancora».
Si tratta, infatti, nei casi più gravi, di una vera e propria patologia mentale. Consiste in una preoccupazione immotivata per la propria salute: l’ipocondriaco inizia così a concentrare un’attenzione ossessiva su questo o quel sintomo in uno sforzo esasperato di controllare l’incontrollabile che a lungo andare crea realmente il disturbo per via psicosomatica.
Incredibile quanto un organismo sano o appena sfiorato da lievi malesseri, possa modificarsi per via dell’autosuggestione psicologica in modo tale da produrre reale sofferenza. Più che di «Legge dell’attrazione» si tratta dello stress nervoso che fa crollare le difese immunitarie aprendo la strada a infezioni e patologie.
Ricostruzione della camera da letto di Marcel Proust al museo Carnavalet di Parigi
Le risposte dei soggetti possono essere di due tipi: o un ritiro dal mondo esterno con una concentrazione ossessiva sul proprio corpo, in particolare sugli organi ritenuti malati, oppure al contrario, una assoluta indifferenza verso la normale cura del proprio stato di salute, nel terrore di essere visitati dai medici o sottoposti a interventi di qualche tipo. Non è un caso che Proust morì, appunto, per aver trascurato una bronchite.
Secondo Giorgio Nardone, cofondatore del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, in epoca moderna la patologia si è evoluta: proprio perché abbiamo a disposizione molte più conoscenze e strumenti diagnostici sempre più precisi, la credenza illusoria di controllare qualunque malattia si è così amplificata che l’ipocondria è tra i disturbi in maggiore crescita da un paio di decenni a questa parte.
Il termine medico fu coniato da Ippocrate che descriveva un «male degli ipocondri»: questi corrispondono alle due regioni della cavità addominale dove sono situati fegato, milza, stomaco, pancreas e parte del colon. Qui gli antichi greci pensavano avessero sede i sentimenti e le emozioni dell’uomo: una zona «misteriosa» dove un doloretto o un lieve malessere possono facilmente prestarsi, in una mente predisposta, alle più varie e preoccupanti interpretazioni.
Un ipocondriaco è colui che ha una pillola per tutto tranne che per l’ossessione che lo affligge. Spesso cercare un sollievo sottoponendosi a scrupolosi controlli medici da parte del soggetto può non sortire alcun effetto sull’ossessione, né tantomeno l’esternazione delle proprie paure a familiari e amici.
I tentativi di rassicurazione provenienti dall’esterno possono invece ingenerare nell’ipocondriaco dei perversi meccanismi mentali tali da accentuare ancor più i suoi dubbi e manie: «Forse mi dicono che non ho niente perché sono davvero malato? Forse vogliono tenermi nascosta una realtà spaventosa? Oppure i medici si sono sbagliati?». E’ un male antichissimo, collegato alle più profonde insicurezze dell’uomo, la paura della morte e del proprio annichilimento.
CANALE SALUTE: NEI PROSSIMI GIORNI, SECONDA PUNTATA SULL’IPOCONDRIA
Nel prossimo appuntamento dedicato all’ipocondria vedremo come Moliére seppe rendere immortale questo archetipo in una delle commedie più gustose della sua produzione e di tutta la storia del teatro. Scopriremo anche le maniacali ossessioni di grandi ipocondriaci della storia.