Gli italiani possono bere l’acqua del rubinetto e avere al contempo la sicurezza di consumare un prodotto che non risulti dannoso per la loro salute? La domanda torna ciclicamente, soprattutto quando si parla delle condizioni dei nostri acquedotti. Sgomberiamo allora il campo dai dubbi: l’acqua in Italia è buona, i controlli delle aziende sanitarie locali sono serrati. Eppure la sfiducia sembra pervadere il Paese: dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Qualche eccezione c’è, e la prenderemo in considerazione, ma sbaglia chi pensa che l’acqua in bottiglia sia migliore rispetto a quella del sindaco.

CONFERME ANCHE DA UN’INCHIESTA DI «ALTROCONSUMO»

A questa conclusione, pur in assenza di solide prove scientifiche, è giunta la maggior parte degli italiani. Non si spiegherebbe altrimenti il boom di vendite di acque minerali: 208 litri a testa, stando agli ultimi dati (fonte Beverfood) relativi al 2015.

Siamo i primi consumatori in Europa di acqua in bottiglia, i secondi al mondo: davanti agli italiani soltanto i messicani. Ma questo non vuol dire che la natura abbia penalizzato il nostro Paese. Anzi: la conformità delle acque potabili è superiore al 99 per cento, in linea con quello che accade nella maggior parte dei Paesi europei (dove spesso all’ingresso nei ristoranti si nota già sul tavolo una brocca d’acqua di rubinetto).

Un dato confermato anche da un’inchiesta di «Altroconsumo», realizzata prendendo in esame l’acqua prelevata da 35 fontanelle pubbliche d’Italia: una per ogni città, tra capoluoghi di regione e centri particolarmente popolosi. In questo caso dalle analisi - concentratesi soprattutto sugli indicatori di qualità (calcio, durezza, presenza di solfati e fluoruri) e la presenza di inquinanti - è emerso uno standard elevato, escluse due eccezioni: Genova e Firenze, dove sono stati rintracciati livelli di piombo superiori ai limiti (dieci microgrammi per litro). «Dieci e lode alle acque di Ancona, Aosta, Caserta e Perugia», si legge anche nel rapporto: datato giugno 2015. Più delicata, invece, la situazione di Latina e Viterbo, dove da tempo molti consumatori hanno rinunciato a consumare l’acqua di rubinetto per i frequenti superamenti dei livelli di arsenico (cancerogeno) e fluoruri (eccessivi consumi possono provocare fluorosi ai denti).

UNA SOLUZIONE IN PIÙ: LE CASE DELL’ACQUA

Quando la società erogatrice (chi garantisce la distribuzione domestica è responsabile dei controlli dai pozzi fino ai contatori dei singoli palazzi), ma anche l’Asl o l’Arpa competente, garantiscono sulla potabilità dell’acqua, c’è dunque da stare tranquilli. Lo stesso discorso può essere esteso alle «case dell’acqua», installazioni volute da oltre cinquecento Comuni in Italia (molto più al Nord che al Sud) per far crescere la fiducia dei cittadini nei confronti dell’acqua potabile.

Quasi sempre gratuite (tranne in alcuni casi per l’erogazione dell’acqua frizzante: il cui costo non è superiore a cinque centesimi al litro), assicurano un prodotto refrigerato e dalla durezza (parametro che esprime la presenza di ioni calcio e magnesio) lievemente inferiore rispetto a quello erogato dal rubinetto.

Quanto ai consumi, i primi responsi sono positivi, anche se a «frenare» ancora i consumatori è la ridotta conservabilità: massimo tre giorni, come d’altronde per l’acqua di rubinetto. Tra i materiali dei contenitori utilizzati per lo stoccaggio, il primato spetta al vetro. Ma anche plastiche trasparenti e acciaio inox garantiscono buona affidabilità.

ACQUA IN BOTTIGLIA: È SOLTANTO UNA QUESTIONE DI GUSTO

Quello che si deduce, dunque, è che la scelta di acquistare l’acqua in bottiglia deve rimandare esclusivamente al gusto e non alla salubrità del prodotto. Come si evince da un decalogo sull’acqua redatto dal Centro per la Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione, «non è vero che il calcio presente nell’acqua favorisca la formazione dei calcoli renali. Le persone predisposte a formare calcoli renali devono bere abbondantemente e ripetutamente nel corso della giornata, senza temere che il calcio contenuto nell’acqua possa favorire la formazione dei calcoli stessi: anzi, è stato dimostrato che anche le acque minerali ricche di calcio possono costituire al riguardo un fattore protettivo».

Altro spauracchio è rappresentato dalla cellulite: «Non è vero che occorra preferire le acque oligominerali rispetto alle acque maggiormente mineralizzate per mantenere la linea o «curare la cellulite». I sali contenuti nell’acqua favoriscono l’eliminazione di quelli contenuti in eccesso nell’organismo. Nei bambini, in particolare, sarebbe bene non utilizzare le acque oligominerali in modo esclusivo, ma bisognerebbe alternarle con quelle più ricche di minerali, in quanto una diuresi eccessiva può impoverire di sali minerali un organismo in crescita».

Inutile cercare scuse, allora: l’acqua del rubinetto è buona e ci fa anche risparmiare. Meglio sempre saperlo, in tempo di crisi.

Twitter @fabioditodaro


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