Un algoritmo ci salverà. O perlomeno è questa l'idea delle grandi aziende tecnologiche, da Ibm ad Apple passando per Intel, che sempre di più puntano sul settore della salute. E non solo con applicazioni per il fitness e per il monitoraggio di passi e calorie bruciate, ma anche con la prevenzione e la diagnosi di patologie molto serie, come insufficienza cardiaca, tumori, diabete.

L'esempio più celebre, nonché già operativo, è quello di Watson, il sistema di intelligenza artificiale sviluppato da Ibm. In grado di rispondere a domande e di analizzare un milione di libri in un secondo (ha sfidato dei concorrenti umani in un quiz televisivo sconfiggendoli facilmente), Watson è stato applicato in alcuni ospedali per supportare i medici nelle decisioni di trattamento dei tumori al polmone eora è al centro di un progetto da due milioni di dollari che sarebbe capace di anticipare di due anni le diagnosi di insufficienza cardiaca rispetto ai metodi tradizionali. Il tutto attraverso l'analisi dei dati raccolti durante le visite: malattie di cui si è già sofferto, farmaci prescritti, cartelle cliniche di precedenti ricoveri, ma anche immagini di radiografie e altre analisi visuali.

Qualcosa di simile sta sviluppando Intel: l'azienda informatica ha lanciato, insieme al gigante cinese Alibaba e alla società LinkDoc, un concorso (la Tianchi Healthcare AI Competition) a cui hanno risposto più di 500 ricercatori e che mettendo in palio 145 mila dollari ha l'obiettivo di aiutare i medici a formulare diagnosi per il tumore al polmone attraverso tecnologie di intelligenza artificiale. Nello specificosi tratta di trovare un algoritmo che sia in grado di leggere i dati delle cartelle cliniche e le radiografie. Ottenere una diagnosi precoce aiuterebbe così i medici a intervenire in maniera più puntuale e tempestiva sulla cura del cancro al polmone, che in Cina rappresenta un problema enorme con 4,3 milioni di nuovi pazienti e oltre 2,8 milioni di morti solo nel 2015.

I COMMENTI
C'è comunque chi si dimostra abbastanza scettico al riguardo: «La possibilità che un algoritmo possa sostituire il clinico nella diagnosi è un vecchio pallino di numerosi clinici e matematici», commenta Antonio Rebuzzi, direttore Cardiologia intensiva del Policlinico Gemelli di Roma, «Ma purtroppo o per fortuna i numeri non sempre ci prendono con il singolo paziente. Lo sviluppo di qualsiasi patologia non è mai lineare e le variabili che entrano in gioco (età, sesso, ambiente, alimentazione, patologie collaterali, resistenza o allergia ai farmaci) sono talmente numerose da rendere improbabile che tali algoritmi, forse validi nella popolazione, possano avere un reale valore predittivo nel singolo paziente». Di opinione simile anche Carmine Pinto, presidente dell'Associazione medici oncologi ospedalieri (Aiom): «Il metodo di per sé può essere efficace, ma dipende dagli elementi che vengono presi in considerazione e analizzati da questi algoritmi. Spesso accade che i dati iniziali siano troppo poveri e che quindi le diagnosi siano poco affidabili».

Dall'arena non poteva restare fuori Apple, che ha creato un team di 30 ingegneri ed esperti di biomedicina per sviluppare un sistema in grado di misurare i livelli di glucosio nel sangue senza la necessità di prelevare una goccia di sangue dal polpastrello. Una tecnologia che semplificherebbe parecchio la vita di chi soffre di diabete, ma che a detta degli esperti sarebbe molto difficile da ottenere. Anche Google ci starebbe provando, sperimentando però un diverso approccio: la misurazione della glicemia avverrebbe infatti attraverso gli occhi per mezzo di speciali lenti a contatto.

andrea.andrei@ilmessaggero.it
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