Le malattie renali croniche riguardano almeno un adulto su dieci. Eppure l’attenzione che viene posta nei loro confronti è «scadente» a tutti i livelli: nei Paesi occidentali come in quelli in via di sviluppo. È desolante lo scenario che emerge dall’atlante della salute del rene, discusso nel corso dell’ultimo congresso mondiale di nefrologia a Città del Messico e pubblicato sul «Journal of the American Medical Association». Dal dossier - la più completa mappa mondiale delle malattie renali - emergono le notevoli lacune che esistono nel trattamento delle malattie renali: sia in termini di prevenzione sia di cura. Uno scenario diffuso a tutte le latitudini, che si ripercuote sulla salute dei cittadini e sulle casse dei singoli Stati.

La mappa mondiale dell’insufficienza renale cronica

Spiega Adeera Levin, docente di medicina interna all’Università della British Columbia (Vancouver) e presidente della Società Internazionale di Nefrologia: «Le malattie renali croniche, nelle fasi iniziali, possono essere trattate con la dieta, la correzione dello stile di vita e, tutt’al più, l’assunzione di un antipertensivo. Una diagnosi di insufficienza renale cronica non implica automaticamente il ricorso alla dialisi o al trapianto. Ma per evitare questo scenario, occorre aumentare i tassi di diagnosi precoce della malattia. Questo al momento non sta avvenendo e le ripercussioni sono evidenti».

Tra i Paesi ad alto reddito, l’Arabia Saudita e il Belgio fanno registrare la prevalenza più elevata di insufficienza renale cronica (24%), seguita dalla Polonia (18%), dalla Germania (17%), dal Regno Unito e da Singapore (16%), dal Canada e dall’Australia (13%). Quelle più basse, invece, sono state riscontrate in Norvegia e nei Paesi Bassi (5%). Nel mondo, complessivamente, sarebbero un milione le persone che perdono la vita ogni anno per un’insufficienza renale non trattata. Se negli Stati occidentali è la sedentarietà il principale fattore di rischio, nelle realtà emergenti rimane ancora scarso l’accesso ai controlli e ai farmaci.

Quale prevenzione?

Stupisce la scarsa attenzione rivolta nei confronti dell’insufficienza renale cronica, che se non trattata costituisce un importante fattore di rischio anche per le malattie cardiovascolari. Un approccio ritardato alla malattia può rendere inevitabile il ricorso alla dialisi o al trapianto del rene. Le persone più a rischio sono quelle ipertese, diabetiche, i fumatori, gli obesi, chi ha precedenti in famiglia di insufficienza renale o di eventi cardiovascolari. A determinare l’evoluzione della malattia può essere un’infezione, la disidratazione o un’intossicazione da farmaci.

«La mancanza di sintomi nelle fasi iniziali della malattia e la scarsa consapevolezza da parte di medici e pazienti portano a fare sì che, quando la malattia viene scoperta, la funzionalità del rene risulta spesso già compromessa», dichiara David Johnson, docente di nefrologia all’Università di Brisbane e co-autore del dossier. «Chi presenta i fattori di rischio indicati dovrebbe controllare costantemente la salute dei reni. Un semplice esame del sangue, delle urine e la misurazione della pressione sanguigna possono essere sufficienti», prima di valutare eventualmente l’opportunità di sottoporsi a esami di secondo livello: come la misurazione della velocità di filtrazione glomerulare e della concentrazione di proteine nelle urine (di norma non dovrebbero essercene). Consigli per la vita quotidiana. Una dieta sana, ricca di fibre e a basso contenuto di sale, l’effettuazione di una moderata attività fisica, la rinuncia al fumo e il controllo della pressione sanguigna possono evitare la comparsa della malattia o rallentarne la progressione.

Twitter @fabioditodaro


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