Un precedente analogo non esiste: motivo per cui è lecito nutrire speranze. Allo stesso tempo, però, è necessario mantenere la cautela: perché serviranno almeno altri cinque anni per giungere ai risultati sperati. L’auspicio è quello di trovare un rimedio alla corea di Huntington, una malattia neurodegenerativa tuttora incurabile, che si manifesta inizialmente a livello muscolare, ma nel tempo determina un progressivo declino cognitivo.

Un nuovo farmaco ha superato con successo la fase 1 della sperimentazione clinica - quella in cui si verifica la sicurezza e la tollerabilità - dimostrandosi potenzialmente in grado di bloccare l’effetto della mutazione che provoca danni cerebrali nei malati.

L’Huntington è infatti una malattia cosiddetta monogenica: determinata esclusivamente dall’alterazione di un gene, l’It15. Mentre i farmaci finora utilizzati hanno mirato soprattutto al controllo dei sintomi, quello in fase di test s’è rivelato in grado di ridurre i livelli cerebrali dell’huntingtina: la proteina codificata dal gene mutato, le cui funzioni costituiscono la causa della malattia.

Il farmaco iniettato nel midollo spinale

La sperimentazione è stata messa a punto dai ricercatori del Neurology Centre della University College di Londra, che nelle scorse ore ha confermato le notizie riportate in un comunicato diffuso dall’azienda: la californiana Ionis Pharmaceuticals, che ha già ceduto il brevetto a Roche. Al momento, dunque, nessuno studio risulta già pubblicato: per i dati ufficiali occorrerà attendere almeno un anno. Ma le anticipazioni sono promettenti. Nel trial, avviato nel 2015, sono stati coinvolti 46 pazienti: canadesi, tedeschi e inglesi. Il farmaco, chiamato Ionis-Htrx , è stato iniettato nel midollo spinale in quattro dosi (crescenti) in altrettanti mesi). Sull’altra sponda un gruppo di controllo, che ha ricevuto soltanto un placebo.

Oltre a non provocare particolari effetti collaterali, Ionis-Htrx ha determinato un’evidenza mai osservata prima: la riduzione della proteina responsabile della malattia. I ricercatori hanno chiarito anche il meccanismo d’azione: il farmaco interverrebbe nel bel mezzo del processo di sintesi proteica, andando di fatto a impedire la formazione di nuova huntingtina.

«È la prima volta che si osserva la capacità di bloccare la sintesi di una proteina tossica per il sistema nervoso centrale», afferma Sarah Tabrizi, direttore del centro per la malattia di Huntington dello University College di Londra. Una prospettiva nuova e potenzialmente interessante anche nei confronti dell’Alzheimer e del Parkinson, malattie neurodegenerative più diffuse rispetto alla corea di Huntington.

La speranza dei trattamenti preventivi

I primi sintomi della malattia, che in genere compaiono nella mezza età, includono sbalzi d’umore, rabbia e depressione. Successivamente i pazienti sviluppano movimenti incontrollati, demenza e paralisi muscolari. A questo studio, adesso, dovranno seguirne altri: più duraturi nel tempo e in grado di coinvolgere un numero ben più ampio di pazienti. Ma se anche le fasi 2 e 3 della sperimentazione dovessero avere successo, Tabrizi non esclude di poter trattare tutte le persone con il gene mutato: ma da prima che la malattia si manifesti. «L’obiettivo deve essere quello di arrivare un giorno a prevenire la malattia», che in Italia colpisce all’incirca seimila persone: con quasi il triplo che rischiano di ereditarla.

Twitter @fabioditodaro


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