Un nostro gentile lettore ci ha scritto per chiedere un approfondimento sulla malattia di Ménière. Alleghiamo qui il testo della sua mail e siamo lieti di poterlo accontentare con questo ricco e dettagliato articolo appositamente realizzato a firma di Nicla Panciera.
«Gentilissimi, ho visto il vostro articolo sulla fibromialgia, malattia invalidante e da pochi riconosciuta. Riuscireste ad aprire un articolo per la Sindrome-Malattia di Meniere? Siamo in tantissimi a soffrirne e sono veramente pochi gli otorini che identificano questa malattia, causandola a varie interferenze labirintiche, senza riuscire a diagnosticarla per tempo, se non dopo anni di sofferenze per che ce l’ha. Grazie e cari saluti».
LA CONFORMAZIONE DELL’ORECCHIO E IL SUO RUOLO NELL’EQUILIBRIO
L’orecchio è l’organo dell’udito ma ha un ruolo fondamentale anche per l’equilibrio. Infatti, registra i movimenti e la posizione della testa attraverso dei neurosensori che si trovano nei canali semicircolari e nel vestibolo, strutture ossee e membranose del cosiddetto orecchio interno, che sono riempiti di un liquido, l’endolinfa. L’endolinfa riempie anche l’altra struttura più nota dell’orecchio medio, la chiocciola, che alloggia i sensori per l’udito e i cui spazi endolinfatici comunicano in parte con quelli dei canali semicircolari e del vestibolo. La quantità di endolinfa contenuta nell’orecchio è determinata dall’equilibrio fra produzione e riassorbimento, garantito principalmente da alcune strutture vascolari dell’orecchio interno e del cervello.
L’alterazione di tale equilibrio comporta un eccessivo accumulo dell’endolinfa (idrope endolinfatica) producendo vertigini e nausea, associati a una sensazione di orecchio pieno, a fischi (i così detti acufeni) e a una riduzione dell’udito (ipoacusia) inizialmente fluttuante e poi via via più severa.
LA MALATTIA DI MÉNIÈRE
L’insieme di questi sintomi prende il nome di malattia di Ménière, un disturbo le cui cause sono poco note e che affligge circa una persona su mille, interessando, generalmente, un orecchio solo, ma che, in un numero limitato di casi, può coinvolgere entrambi. Ne abbiamo parlato con un grande esperto di malattie neurologiche dell’orecchio, Giuseppe De Donato, neuro-otorinolaringoiatra dal 2016 responsabile della chirurgia dell’orecchio e della base cranica dell’Ospedale San Gerardo di Monza, consulente anche presso il San Paolo di Milano. La neurotologia, specialità della otorinolaringoiatria, studia e tratta le patologie neurologiche dell’orecchio.
IL SINTOMO DELLE VERTIGINI
Le vertigini sono un sintomo piuttosto comune, ma quelle della malattia di Ménière sono abbastanza tipiche: «Non insorgono in relazione al cambiamento di posizione del capo e si manifestano con crisi prolungate che possono durare anche per delle ore – spiega De Donato - Inoltre, dopo due o tre episodi, il paziente riesce a capire che l’attacco è prossimo perché avverte nell’orecchio una sorta di ovattamento e senso di pienezza, la cosiddetta fullness».
Il tipo di vertigini descritte dal paziente è quindi il primo elemento fondamentale per indirizzare il medico verso una corretta diagnosi. Le crisi vertiginose dovute alla malattia di Ménière costituiscono circa il 20% di casi di vertigine e devono essere ben distinte dall’altro tipo di crisi vertiginosa più comune, definita parossistica benigna: «le crisi vertiginose della Ménière sono di tipo oggettivo, in cui tutto sembra girare, e sono accompagnate da nausea e vomito.
La durata delle crisi è di due ore o più, mentre quelle parossistiche benigne sono brevissime, durano cioè meno di un minuto, sono legate al cambiamento di posizione e i pazienti riferiscono di provarle improvvisamente, quando si girano nel letto o muovono la testa».
Tali vertigini parossistiche benigne costituiscono circa il 60% dei casi delle crisi vertiginose, sono spesso legate a problematiche specifiche dei canali semicircolari e possono essere risolte con le classiche manovre liberatorie non invasive.
«Infine – continua De Donato - esiste un ulteriore 20% di casi di crisi vertiginose causate da disturbi neuro-otologici più complessi, tra i quali gli “equivalenti emicranici”, la cui diagnosi differenziale può essere più complessa».
LA DIAGNOSI
L’anamnesi è quindi fondamentale: dal racconto del paziente si possono ricavare quegli elementi caratteristici che rendono piuttosto evidente il sospetto di malattia e, in alcuni casi, permettono di formulare già la diagnosi di Ménière. Tuttavia, «quando ci si trova davanti a un sospetto di Ménière – puntualizza il neuro-otologo - si deve fare sempre una risonanza con contrasto per escludere che si tratti di altre patologie che possono associarsi a vertigine come ad esempio lo schwannoma del nervo vestibolare, così chiamato perché interessa le cellule di Schwann che rivestono i nervi, spesso chiamato erroneamente neurinoma dell’acustico». In realtà, è appunto un tumore benigno del nervo vestibolare, ovvero il nervo cranico che convoglia al cervello le informazioni dei neurosensori dell’equilibrio, mentre il nevo acustico (o cocleare) convoglia le informazioni uditive.
TRATTAMENTI POSSIBILI
Durante la fase acuta, si somministrano farmaci sedativi intramuscolo o in forma di supposte, se il paziente ha troppa nausea per assumere qualcosa per via orale. Servono a tenere sotto controllo i sintomi e calmare il paziente, in genere spaventato da nausea e vomito.
«Si inizia suggerendo di assumere alimenti con poco sale e somministrando dei farmaci diuretici, come il mannitolo o l’acetazolamide, e sedativi», spiega De Donato. «Nei periodi intercritici, si può agire anche con la betaistina. Se questa terapia si dimostra efficace nel ridurre gli episodi di crisi vertiginosa, la cura può durare fino a 12 mesi. Circa il 70% dei pazienti guarisce con i farmaci».
TRE POSSIBILI VIE D’USCITA
Se la situazione non si risolve vi sono tre possibilità: gli otorinolaringoiatri in genere propendono per un’iniezione intratimpanica di cortisone, «si entra cioè nella membrana del timpano con un ago molto sottile e vi si inietta il cortisone. Questa soluzione ha un buon effetto, non crea problemi uditivi ma ha lo svantaggio di richiedere a volte iniezioni ripetute nel tempo».
I neuro-otologi, invece, preferiscono una soluzione diversa, entrata nella pratica clinica ormai a metà degli anni Novanta: «Si ricorre alla iniezione intratimpanica di gentamicina, un farmaco la cui azione ototossica viene sfruttata per mettere a riposo il labirinto. Questa azione ha un effetto più duraturo rispetto all’iniezione di cortisone ma può ridurre un po’ l’udito, che comunque al progredire della Ménière verrebbe danneggiato in modo importante».
Se questi interventi non sono in grado di ridurre le vertigini abbastanza da garantire una soddisfacente qualità di vita, si ricorre all’approccio chirurgico. Le soluzioni possono essere diverse a seconda del paziente e dello specialista. Nel caso di buon udito del paziente e nell’ottica di preservarlo, si può procedere con la neurectomia vestibolare, cioè la sezione del nervo vestibolare, inoltrandosi tra il cervello e la rocca petrosa, evitando di toccare gli altri due nervi, il facciale e il cocleare che decorrono molto vicini ad esso. In altri casi si può eseguire una labirintectomia, ovvero una distruzione del labirinto, che però causa anche la perdita dell’udito. In questo caso, spiega De Donato, «vi è una soluzione che deve essere presentata al paziente al momento della decisione sul da farsi ed è la possibilità di far seguire l’intervento di labirintectomia da quello di impianto cocleare per ridare l’udito».
SEGUIRE BENE LA TERAPIA MEDICA PER EVITARE INTERVENTI
Si tratta di interventi estremi perché la terapia medica fa comunque molto nel ridurre i sintomi, ammesso che il paziente mantenga l’aderenza alle terapie: «Spesso vedo dei pazienti che si rivolgono a me per una seconda opinione e che, ad esempio, ammettono di non aver seguito correttamente la terapia con betaistina o di averla presa al bisogno. Seguendola per tre mesi di fila, la situazione diventa chiara».
Davanti ai recenti avanzamenti della neurotologia, la malattia di Ménière è diventata una patologia che può essere curata molto efficacemente e anche nei casi più gravi sono disponibili opzioni terapeutiche chirurgiche molto avanzate in grado di venire incontro alle esigenze del paziente, che devono venire sempre al primo posto.