Le patologie mitocondriali sono tra le malattie genetiche rare più diffuse nell’uomo. Si stima che in Europa colpiscano 1 persona su 5000, sia bambini sia adulti. Solo la metà dei pazienti, ad oggi, dispone di una diagnosi genetica e per nessuna delle diverse malattie esiste una cura risolutiva. Dal 30 maggio al 2 giugno il Convegno Nazionale sulle Malattie Mitocondriali, organizzato da Mitocon - Insieme per lo studio e la cura delle malattie mitocondriali onlus riunirà i massimi esperti mondiali in campo scientifico di queste patologie, con il coinvolgimento anche di pazienti e familiari. Durante l’evento ci si concentrerà sulle nuove frontiere della ricerca, ma ci si soffermerà anche sull’importanza della creazione di reti e gruppi di lavoro internazionali, all’interno dei quali le associazioni rappresentative di pazienti e familiari hanno bisogno di un ruolo sempre più attivo.
Il tema delle malattie mitocondriali è estremamente complesso e abbiamo tentato di delineare un quadro più chiaro cercando di capire quali possono essere sintomi, coinvolgimento e impatto sulla qualità di vita per pazienti e caregiver insieme a Caterina Garone, Investigator Scientist presso l’Università di Cambridge, che ha dedicato la sua vita a questo filone di ricerca. La dott.ssa è vincitrice del Programma Rita Levi Montalcini per il rientro dei cervelli e che per questo a breve rientrerà in Italia come ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Mediche e chirurgiche dell’Università di Bologna. Il laboratorio di Medicina Mitocondriale Traslazionale della dott.ssa presso il Centro di Ricerca Biomedica Applicata si pone due obiettivi: sviluppare nuove terapie farmacologiche per le patologie mitocondriali, ma anche indagare più a fondo sulla variabilità di queste malattie.
Dottoressa Garone, perché ha deciso di dedicarsi allo studio delle malattie mitocondriali
«Da parte mia l’interesse per questo filone di ricerca è arrivato durante la specializzazione in neuropsichiatria infantile: osservando alcuni dei piccoli pazienti, non si riusciva ad arrivare ad alcuna diagnosi delle loro problematiche. Anche quando si riusciva a ottenere una diagnosi non vi erano cure. Da qui è iniziato il percorso di approfondimento nei confronti delle malattie neurometaboliche che nella maggior parte dei casi, alla base, riconoscono proprio una disfunzione mitocondriale. L’attività di ricerca in questo settore mi ha portato alla Columbia University (New York, US) prima e alla Cambridge University (UK) successivamente».
Quali sono le malattie mitocondriali più diffuse?
«Bisogna premettere che queste malattie si caratterizzano per la grande variabilità genetica e fenotipica ovvero per una estrema variabilità nell’età dell’esordio, sintomatologia, severità e modalità di progressione proprio a causa dei meccanismi che determinano la comparsa delle malattie stesse, dovute, semplificando al massimo a errori che possono generarsi nel DNA del mitocondrio o nel DNA del nucleo della cellula. I meccanismi che determinano errori in uno di questi due DNA possono spiegare l’insorgenza di malattie mitocondriali nell’adulto o nel bambino. Gli errori nel DNA nucleare, sono più frequentemente responsabili dell’insorgenza delle malattie in età pediatrica, quelle nel DNA mitocondriale delle malattie dell’adulto».
Quali sono le malattie mitocondriali più frequenti?
«MELAS ovvero encefalomiopatia mitocondriale con acidosi lattica e episodi simili a ictus. La malattia si caratterizza per i disturbi neurologici acuti paragonabili a ischemie cerebrali, associati a iperlactatemia e miopatia mitocondriale, insorge in genere durante l’infanzia, tra i due e i dieci anni. Nei primi anni di vita lo sviluppo psicomotorio è in genere normale, anche se è comune la bassa statura. I primi sintomi comprendono crisi epilettiche generalizzate, cefalee, anoressia, nausea e vomito ricorrenti, debolezza muscolare e intolleranza all’esercizio fisico. Tutti gli eventi simil ictus a lungo andare creano disabilità dalle quali non si riesce più a recuperare. Sindrome di Leigh caratterizzata da lesioni nei gangli della base e associata a disabilità neurologica, muscolare e neurosensoriale di diversa gravità; spettro clinico da mutazioni del gene POLG con quadri che prevedono insufficienza epatica, epilessia mioclonica, encefalomiopatia, atassia e altri sintomi».
Si possono prevenire le malattie mitocondriali?
«Se la malattia è imputabile a un errore nel DNA nucleare non si può prevenire a meno che in famiglia non ci sia stato già un precedente caso diagnosticato. In questo caso si possono fare degli esami genetici prenatali che permettono di capire se il feto è portatore della malattia e che rimandano ai genitori la decisione se proseguire o meno la gravidanza. In caso di malattie mitocondriali dovute a errori nel DNA del mitocondrio, invece, esistono due tecniche disponibili per prevenire la trasmissione genetica della malattia attualmente in fase di sperimentazione».
Cosa significa ricevere una diagnosi di malattia mitocondriale?
«È difficile rispondere: non parliamo di una malattia, ma di un gruppo di malattie variabili e imprevedibili ecco quindi che generalizzare non è possibile. Basta solo riflettere sul fatto che ci sono circa 1500 geni nucleari che codificano per proteine con funzione mitocondriale, quindi possiamo avere malattie che rispondono a errori per ognuno di questi 1500 geni senza contare gli errori nel DNA mitocondriale. A seconda del gene mutato e del livello di errore espresso ne consegue la malattia, con tutte le variabili del caso. Può svilupparsi una malattia che non permette di vivere neppure i primi anni di vita, oppure forme che consentono di arrivare all’età adulta o che si manifestano in età adulta, con un corteo sintomatologico, variabile da individuo a individuo. Di sicuro lo scoglio più grande è la diagnosi, ma anche quando si ottiene la prognosi è comunque variabile e quindi è difficile dire, neanche quando c’è la diagnosi, come si evolverà la malattia. Alcune mutazioni poi sono talmente rare che colpiscono 2-3 persone nel mondo, come prevederne dunque il decorso clinico?»
Qual è l’impatto di una diagnosi di questo tipo per chi deve prestare assistenza?
«Nei casi severi a esordio infantile il bambino ha bisogno di assistenza continua e quindi la vita dei genitori viene stravolta. Il bambino ha bisogno di essere seguito da un’equipe multidisciplinare poiché è come se si spegnessero le centrali che forniscono l’energia alle cellule, ecco perché si assiste a un progressivo rallentamento dello svolgimento delle normali funzioni cellulari soprattutto dei distretti che richiedono un maggior fabbisogno energetico, come il cervello e i muscoli, ma i danni possono coinvolgere anche il cuore, il fegato, il sangue, la vista, l’udito, ed ecco che può essere necessario un supporto nutrizionale, un sostegno motorio e via dicendo. Gli spazi sociali vanno quindi organizzati in base alle esigenze di ogni singolo paziente».
Quali sono le urgenze per questi pazienti, di cosa avrebbero bisogno subito?
«Avere una diagnosi genetica è fondamentale. Questo è il punto di partenza, se non c’è la diagnosi non si riesce semplicemente a effettuare una corretta presa in carico del paziente. Se i mitocondri non funzionano è fondamentale tanto per fare un esempio molto pratico, curare la nutrizione. Se la diagnosi non c’è, però, anche questo approccio non viene intentato come si dovrebbe o è un aspetto che non si valuta affatto andando a precipitare la debolezza muscolare e la capacità di rispondere anche ai fattori stresso geni più comuni come un banale raffreddore. Fatta diagnosi, va da sé serve la terapia».
Quali sono le terapie disponibili?
«Parliamo di terapie sperimentali, molte in fase preclinica. Non bisogna dimenticare che si parla di malattie che colpiscono in alcuni casi anche poche persone nel mondo: come allestire trial clinici che diano esiti attendibili? Questa è una sfida nella sfida».
Quali sono i suoi obiettivi nell’immediato?
«L’obiettivo è di spiegare con la ricerca scientifica la variabilità clinica e la specificità tissutale di queste patologie e lo sviluppo di nuove terapie e la loro sperimentazione in trial clinici controllati. Difficile, quindi dare una risposta: di sicuro tornando in Italia lavorerò all’apertura di un laboratorio di Medicina Mitocondriale traslazionale e ad ambulatorio dedicato ai pazienti affetti da patologie mitocondriali. Chi immagina chi si dedica alla ricerca come qualcuno che si muove fra alambicchi, provette e banconi di laboratorio, dimentica che tutto questo lavoro, di sicuro fondamentale, perde di senso se non c’è anche il lavoro sul paziente. E su chi gli sta intorno. In aggiunta alla mia ricerca scientifica, a Cambridge ho collaborato con l’Accademia della Magia e della Scienza che si pone l’obiettivo di spiegare concetti scientifici attraverso l’elemento creativo dell’illusionismo.
Tra le linee di sviluppo dell’Accademia, la magic therapy consiste nel ridisegnare l’esperienza della malattia con l’uso di semplici giochi, racconti e immagini per ridurre l’elemento negativo del dolore, dell’incertezza e dello sconforto e incrementare motivazione, stima e speranza in un mondo fantastico dove la realtà viene affrontata con coraggio. Per esempio con il semplice uso di una pallina si può spiegare a un bambino cosa gli succederà durante una terapia sperimentale. Giochi semplici che vengono sfruttati anche per far svolgere esercizi di rafforzamento muscolare che vanno a sostituire con la stessa efficacia le normali routine di fisioterapia. Le malattie mitocondriali, si devono affrontare anche così, con ingegno e intelligenza cercando di avvicinare tutti, pazienti, caregivers e cittadini alla loro estrema complessità anche con un pizzico di creatività».