Se la frequenza di malattie non neurologiche è più bassa rispetto al resto della popolazione, per i calciatori professionisti sono invece maggiori i tassi di mortalità causata da malattie neurodegenerative e il rischio di sviluppare una demenza. Conseguenze che non deriverebbero dall’intensità dei colpi presi in testa, ma dalla loro frequenza che fa crescere il conto complessivo. Il dato, già emerso da altri studi che avevano messo in relazione il più elevato numero di casi di sclerosi laterale amiotrofica registrati tra i calciatori , trova conferma in un’altra ricerca condotta su settemila ex professionisti scozzesi, pubblicata sul «New England Journal of Medicine».
Rischio più alto per i calciatori professionisti
Gli studiosi coordinati da Daniel Mackay, a capo del gruppo che si occupa di salute pubblica all’Università di Glasgow, hanno confrontato gli ex-calciatori con la popolazione generale. Obbiettivo: rilevare le eventuali differenze circa le cause di mortalità e l'utilizzo di farmaci anti-demenza. Il dato di una minore mortalità da cause non neurologiche conferma i benefici dello sport nella prevenzione delle altre malattie, come quelle cardiovascolari e metaboliche. Motivo per cui, per dirla con Gioacchino Tedeschi, direttore della clinica di neurologia e neurofisiopatologia dell’azienda ospedaliero-universitaria Luigi Vanvitelli di Napol, «l'informazione è tranquillizzante per i calciatori amatoriali e non deve portare a puntare il dito contro la partitella infrasettimanale con gli amici».
Circa invece la mortalità da malattie neurodegenerative, il rischio deriverebbe per i calciatori professionisti, così come riscontrato anche nei giocatori di football americano in un altro studio dai Centers for Diseases Control and Prevention statunitensi, dall'esposizione a ripetuti colpi in testa. Indipendentemente dal suo ruolo, infatti, un giocatore colpisce la palla con la testa in media 6-12 volte a partita (ma in allenamento molto di più). Il che significa migliaia di volte nell'arco della carriera. A influire non sarebbero i colpi più forti, ma il «conto» totale dei ripetuti impatti ricevuti alla testa, compresi quelli che non danno sintomi.
Nessun problema per gli sportivi amatoriali
«Dallo studio emerge come tra le malattie neurodegenerative sia riportata una maggiore mortalità per la malattia di Alzheimer mentre si osserva una minore mortalità per la malattia di Parkinson - aggiunge Tedeschi, che presiede la Società Italiana di Neurologia -. Fermo restando che l'esercizio fisico moderato, l'attività fisica, nonché la pratica sportiva a livelli più competitivi hanno importanti benefici per la salute, tra cui un rallentamento del declino cognitivo e un rischio inferiore di manifestare demenza, alcuni sport di contatto che causano frequenti traumi ripetuti possono aumentare il rischio di compromissione cognitiva e neuropsichiatrica e di vedere insorgere una malattia neurodegenerativa o un’encefalopatia traumatica cronica. A fare la differenza, anche ad anni di distanza dal termine dell'attività agonistica, è la durata dell’esposizione a traumi ripetuti».
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