Le malattie rare sono circa ottomila. Tutte insieme rappresentano un decimo delle malattie croniche. Spesso vengono diagnosticate in ritardo per la molteplicità dei sintomi e per la loro natura subdola. Tra le malattie rare, di recente l’attenzione della comunità scientifica si è concentrata sulle malattie neuromuscolari: al punto da ottenere l’inserimento dello screening neonatale nella Legge di Bilancio 2019. Questo rinnovato interesse si deve agli importanti progressi già raggiunti sul piano terapeutico per alcune di queste patologie (la distrofia di Duchenne, l’Atrofia Muscolare Spinale, la Malattia di Pompe) e agli intensi sforzi della ricerca scientifica per mettere a punto nuove terapie.

Un decalogo per scoprire la distrofia di Duchenne

Nel caso dei bimbi con distrofia muscolare di Duchenne , per esempio, si possono riconoscere da subito tanti piccoli indizi fin dalla primissima infanzia (stentano a gattonare, sono goffi quando iniziano a camminare, cadono spesso, anche da seduti sono instabili), ma troppo spesso nessuno se ne accorge e tuttora quasi uno su due riceve la diagnosi oltre i cinque anni: quando ormai i muscoli mostrano già i segni della compromissione e rallentare il decorso della malattia è assai più difficile.

Ecco perché, per ottenere diagnosi più precoci possibili, la Società Italiana Medici Pediatri (Simpe) ha messo a punto l’elenco delle dieci «spie» che devono far insospettire genitori e pediatri. Il decalogo, presentato in occasione del congresso «PediaCampus», indica i possibili segni a cui prestare attenzione, a seconda dell’età di un bambino.

Prima dei 18 mesi, per esempio, bisogna drizzare le antenne se il bimbo ha difficoltà a stare seduto da solo o a gattonare, non riesce a stare in piedi o a camminare e mostra un ritardo del linguaggio (non ha ancora detto la prima parola o le frasi complete stentano ad arrivare).

Alla soglia dei tre anni, invece, bisogna fare attenzione se l’andatura è ondeggiante, il bambino cammina sulle punte o ha i piedi molto piatti, se cade ed è goffo nei movimenti e mostra resistenza rispetto alla corsa. A cinque anni, un bambino deve essere in grado di stare dietro ai compagni che corrono e giocano. Particolarmente specifico è poi il segno di Gowers: nel tentativo di alzarsi dalla posizione supina, i pazienti caratteristicamente usano le braccia per «arrampicarsi» sul corpo poggiandole sulle ginocchia per compensare la debolezza dei muscoli delle gambe.

Diagnosi ancora tardive

I genitori dei bambini colpiti dalla distrofia di Duchenne vorrebbero essere aiutati dai pediatri di famiglia, come evidenziato da un’indagine promossa dall’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza (Paidòss).

Mamme e papà vorrebbero i pediatri dei loro figli in prima linea fin dal momento della diagnosi. Ma, a oggi, il 25 per cento degli specialisti dei centri di riferimento - che in un caso su cinque si trovano in una Regione diversa da quella in cui vive la famiglia del paziente, cosa che non agevola la collaborazione - che hanno in carico i piccoli malati non coinvolge il pediatra nelle scelte.

Così un genitore su cinque, oltre a desiderare un maggior sostegno economico e una maggior facilità di accesso alle terapie e agli ausili, vorrebbe più integrazione fra pediatra e medici specialisti. «La distrofia di Duchenne rappresenta un banco di prova per certi versi ideale per il Pediatra di Famiglia che voglia misurarsi con il tema delle malattie rare - spiega Giuseppe Mele, presidente Simpe -. Questa malattia indebolisce progressivamente tutti i muscoli e rende impossibile camminare già intorno ai 10 - 12 anni. Se i bambini ricevessero la diagnosi entro i due anni, potrebbero ottenere i migliori benefici derivanti da una precoce e adeguata presa in carico».

La realtà italiana, invece, mostra che per questi bambini la diagnosi arriva in media a 3,5 anni, ma in alcuni casi anche intorno ai cinque anni: quando le condizioni dei muscoli sono già molto peggiorate e rallentare il decorso della malattia è più difficile.

Twitter @fabioditodaro