E’ l’erba magica più famosa di tutti i tempi: appartiene alla famiglia delle Solanacee che annovera non solo le patate, le melanzane, i pomodori, i peperoni, le bacche di Goji, ma anche piante da cui si ricavano droghe, narcotici e veleni come la belladonna, il giusquiamo e il tabacco. In Italia la mandragola - o mandragora - è presente in due specie: la Mandragora officinarum, che vive nei boschi di latifoglie e fiorisce in primavera e la Mandragora autumnalis, con fioritura in autunno, che cresce nei campi o in luoghi incolti e aridi.
Che cos’è la pianta della mandragora
angela nanniQuesto vegetale ha costituito, almeno dal II millennio a.C., uno degli ingredienti principali per la maggior parte delle pozioni mitologiche e leggendarie. Da sempre le sono state accreditate virtù afrodisiache ed era utilizzata anche per curare la sterilità. Il nome, probabilmente di derivazione persiana (mehregiah), le venne assegnato niente meno che da Ippocrate in persona.
Tuttavia, come scopriremo in questo primo appuntamento dedicato all’«erba maledetta», il suo nome si è tramandato fino a noi, continuando a rimanere familiare, grazie a un gigante del Rinascimento di cui quest’anno ricorre il 550° anniversario della nascita.
Macchiavelli, un personaggio in gran parte incompreso
Nello stemma della famiglia Machiavelli figurano una croce e quattro chiodi aguzzi, quasi a preconizzare come il suo più illustre figlio Niccolò (Firenze 1469 –1527) sarebbe stato inchiodato su di una frase da lui mai pronunciata: «Il fine giustifica i mezzi». La lingua italiana, dal canto suo, ha anche assorbito, nei secoli, l’aggettivo «machiavellico» per definire qualcosa di ispirato a una cinica astuzia, priva di ogni scrupolo morale. Probabilmente a causa di quest’immagine ormai cristallizzata le celebrazioni in suo onore sono state piuttosto modeste: al cospetto di Leonardo, Machiavelli risulta quasi un personaggio privo di «appeal». In realtà, come spiega Maurizio Viroli in «Machiavelli filosofo della libertà» (Castelvecchi), per il pensatore fiorentino la virtù, la libertà e la gloria erano i valori base per il buon governo. Il sovrano poteva sì commettere a volte il male, ma solo come extrema ratio per il bene dello stato e immediatamente dopo era tenuto a tornare sulla strada del bene.
L’autore de Il Principe, che passa come il più gelido antesignano della scienza politica, era inoltre un sensibile e profondo conoscitore dell’animo umano, un retore appassionato e patriottico, dotato, per giunta, di uno humor squisito e beffardamente sarcastico verso i vizi e le superstizioni del suo tempo.
Tutto ciò emerge appunto nella sua «facetissima comedia» del 1514-‘15 «La mandragola», capolavoro del nostro teatro cinquecentesco.
L’intreccio
L’intreccio ruota attorno a un notabile fiorentino di mezza età, Messer Nicia, sciocco ma ricchissimo, disperato di non riuscire ad aver figli dalla bella e giovane consorte Lucrezia. Costei è una donna intelligente e di alta moralità: «savia, costumata e atta a governare un regno». Naturalmente, a Nicia non sfiora l’idea di ammettere di essere lui la causa della sterilità della moglie, anzi, addirittura definisce se stesso «il più ferrigno e il più rubizzo uomo in Firenze». Una rodomontata chiaramente ammannita per celare la propria impotenza.
A porre rimedio alla situazione ci penserà un tal Callimaco, giovanotto ardimentoso e di bella presenza che, avendo sentito magnificare Lucrezia, pur da Parigi torna a Firenze per espugnare la bella. Qui se ne innamora perdutamente e, sebbene tra mille ubbie, si rivolge a Ligurio, un personaggio che incarna la classica figura del «parassita» che per tanti secoli ha imperversato nel mondo della commedia.
Amico di Messer Nicia, astuto e senza scrupoli, questo ex sensale di matrimoni non esita a passare dalla parte del giovane innamorato, naturalmente dietro lauto pagamento.
Callimaco, sotto le mentite spoglie di un grande medico, spiega al marito come fare per vincere la sterilità di sua moglie: «Non è cosa più certa ad ingravidare una donna che dargli bere una pozione fatta di mandragola». Il rimedio apparirebbe semplice se non vi fosse un grave inconveniente: il primo uomo che dovesse giacersi con Lucrezia dopo l’assunzione della mandragola morirebbe dopo poco tempo per aver assorbito il veleno della pianta. Al ritrarsi terrorizzato di Nicia, i due gli prospettano un piano diabolico: basterebbe rapire un giovane balordo nottetempo e infilarlo nel letto di Lucrezia. Quanto alla sorte della cavia, la nascita di un figlio pareggerebbe i conti: per uno che se ne va, un altro arriva e Nicia si lascia persuadere nonostante gli scrupoli.
Il frate il cui fine non giustifica i mezzi
Tutto sembra dunque pianificato, ma resta da convincere Lucrezia e per la difficile impresa vengono mobilitati Sostrata, la madre - preoccupata che la figlia possa rimanere senza prole - e Frate Timoteo un religioso corrotto dalla brama di denaro. Questi utilizza mille sofismi dottrinali per giustificare alla giovane, al pubblico e soprattutto a se stesso il grave illecito morale.
Proprio in questa figura, che Machiavelli satireggia nel modo più graffiante, l’autore prende le maggiori distanze da quel cinico opportunismo che gli venne ingiustamente attribuito.
Una volta convinta Lucrezia, Nicia, Ligurio e il servo Siro rapiscono un finto vagabondo che altri non è che Callimaco in un nuovo travestimento. Finalmente nel letto della bella, Callimaco le dichiara la propria passione e lei accetta- anche sdegnata dalla condotta del marito - di diventare la sua amante. Per di più, Calimaco, riassunte nuovamente le sembianze del medico, ottiene di circolare liberamente in casa di Nicia per provvedere alla salute e al benessere di entrambi i coniugi, ovviamente in modi diversi.
La satira sulle credenze
E la pozione di mandragola? Altro non è stata, come spiega Callimaco stesso a Lucrezia, che una bevanda fatta di zucchero, vino e cannella.
Con spirito critico quasi pre-illuminista Machiavelli schernisce quindi una credenza vecchia di molti secoli circa le virtù di questa pianta.
Eppure, non possiamo dare tutti i torti agli antichi: la mandragola per le sue davvero inconsuete caratteristiche morfologiche si prestava perfettamente al vedersi attribuite questo tipo di proprietà magiche, soprattutto la stranissima forma della sua radice, talmente simile al corpo umano, che per millenni fece situare la mandragola a metà fra il mondo vegetale e quello animale.