L’epidemia di gastroenterite che ha colpito gli atleti impegnati nei Mondiali di Londra, e ha costretto i nostri connazionali a cambiare albergo dove alloggiavano per limitare al massimo il rischio di contagio, è di origine virale. La conferma è arrivata ieri dal Public Health England, l’Agenzia di Sanità Pubblica del Regno Unito.

Vomito, diarrea, disturbi gastrici, a volte febbre: sono questi i sintomi debilitanti di questo fastidioso disturbo, erroneamente chiamato «influenza intestinale», che coinvolge stomaco e intestino e che nella maggior parte dei casi ha origine virale. I virus più noti sono il Rotavirus e il Norovirus.

IL NOROVIRUS

Quello che ha colpito gli atleti a Londra è un virus altamente infettivo, molto più di quello dell’influenza, tanto resistente da tollerare temperature superiori ai 60 gradi e il cloro usato per disinfettare le acque.

«Il Norovirus è uno tra gli agenti che più di frequente sono causa di gastroenteriti virali acute» spiega la professoressa Patrizia Burra, gastroenterologa dell’Università degli Studi di Padova e direttore dell’Unità Operativa Trapianto Multiviscerale dell’Azienda ospedaliera.

«Si trasmette per via oro-fecale, tramite le mani, ma anche con il contatto con oggetti infetti e l’ingestione di cibi e acqua contaminati; colpisce in particolare i giovani che si trovano in colonie, comunità o ambienti chiusi e affollati, perché la diffusione del contagio può avvenire anche attraverso secrezioni respiratorie».

La permanenza del virus su bicchieri, piatti e stoviglie spiega la presenza di focolai di gastroenteriti in luoghi pubblici, come ristoranti o come avveniva nel passato, sulle navi da crociera, quando l’igiene era scarsa.

La diagnosi dell’infezione viene spesso fatta per esclusione, il sintomo principe è il vomito che sopraggiunge improvvisamente e in qualche giorno generalmente passa. «A volte, compaiono febbre e dolori addominali e diarrea, ma comunque le terapie sono sintomatiche e in qualche giorno tutto si risolve» spiega la gastroenterologa dell’ateneo patavino.

Proprio come l’influenza stagionale, il Norovirus ha la sua massima diffusione nei mesi invernali. «In questa stagione, queste epidemie sono piuttosto inusuali, ma sempre meno infrequenti» osserva Burra, testimone di alcuni casi risalenti proprio alle scorse settimane. Una volta si riteneva che il virus fosse tipicamente ”invernale”, mentre invece è da ritenersi un virus che può colpire in tutte le stagioni. Un’importante epidemia venne descritta nel nostro Paese tra le fine di giugno e l’inizio di luglio di circa 10 anni fa.

UN ENIGMA PER LA RICERCA E LA SANITÀ

Il Norovirus umano costituisce una grande sfida ai ricercatori, che solo nel 2016 sono riusciti a coltivarlo in laboratorio e che sono ancora impegnati a capire come infetta le cellule e come determina i sintomi come il vomito. Capirne i meccanismi di diffusione è stata definita una priorità di salute dai CDC americani, preoccupati dai quasi 800 decessi l’anno e 20 milioni di infezioni negli USA.

Nel frattempo, il Public Health England registra una tendenza all’aumento delle epidemie di Norovirus, con una crescita del 10% nello scorso inverno rispetto ai cinque precedenti. «Impressione che sembrerebbe confermarsi anche per altri paesi europei – commenta la professoressa Burra – ma va riconosciuto un ruolo anche al miglioramento diagnostico degli ultimi decenni che ha portato alla nostra attenzione nuovi casi che prima semplicemente si presentavano, ma non riconoscevamo la causa».

Per l’Oms, le gastroenteriti rappresentano un’emergenza sanitaria. La principale causa di gastroenterite pediatrica, il Rotavirus, causa ogni anni mezzo milione di decessi nei bambini al di sotto dei 5 anni, l’80% dei quali nei paesi in via di sviluppo. In Europa, 231 decessi e 90 mila ospedalizzazioni.

GASTROENTERITI BATTERICHE

Le gastroenteriti causate da microorganismi, come la Salmonella, la Shigella e E. coli, costituiscono non più del 20% del totale dei casi. Sono associate al consumo di alimenti come uova e prodotti contenenti uova crude (come creme e tiramisù).

In aumento, in particolare nei contesti ospedalieri e di lunga degenza e nelle residenze per anziani, le infezioni da Clostridium difficile: «Le stime indicano che, negli ospedali, vi siano 1-2 casi di infezione da Clostridium, su mille ricoveri, è una tossina molto potente, capace di provocare anche 20 scariche al giorno, pericolosa quindi per gli organismi già debilitati. La cura di queste forme di diarrea prevede la somministrazione di vancomicina e quando questo antibiotico non funziona si può ricorrere al trapianto fecale» spiega la Burra che avverte: «Particolare attenzione va posta ai soggetti vulnerabili, come gli immunocompromessi o chi fa uso protratto di antibiotici».

IL RISCHIO PRINCIPALE È LA DISIDRATAZIONE

«In generale, il rischio principale è quello della disidratazione, dovuta ad un’eccessiva perdita di liquidi e di sali. In particolare, ad essere a rischio sono i soggetti anziani e i bambini piccoli, che non riferiscono la sete e non percepiscono la sensazione di secchezza della bocca e della pelle. Quando è necessario, si ricorre all’idratazione per via endovenosa». Nessun trattamento è necessario nelle forme più blande, a parte un antipiretico in caso di febbre.

@nicla_panciera


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