Un edificio basso, non oltre i tre piani, immerso nel verde. L’ingresso assomiglia alla reception di un grande albergo. Pareti colorate, corridoi puliti e profumo nell’aria. Non più differenze tra reparti e camere rigorosamente singole. È questo l’ospedale del futuro, una struttura sempre più accogliente, efficiente e a misura di malato. Pura utopia? No, esempi di questo tipo cominciano a diffondersi sempre di più e anche se lo Sloan Kettering a New York e il Karolinska Institutet a Stoccolma rappresentano il meglio a livello mondiale, anche l’Italia comincia a dirigersi in questa direzione.
Nel nostro Paese a fare da apripista è stato l’Istituto Clinico Humanitas, seguito ora dall’Ospedale di Legnano, dal Niguarda di Milano e dai nuovi quattro centri in Toscana (Prato, Pistoia, Apuane e Lucca). A questi vanno aggiunti quelli ora in fase di ammodernamento e costruzione come Pordenone e Policlinico di Milano.
In Italia il 60% degli ospedali ha più di 40 anni
Come spiega Maurizio Mauri, presidente del «Cneto» (Centro nazionale per l’edilizia e la tecnica ospedaliera), «ad oggi lo “stato di salute” degli ospedali italiani non è dei migliori. Due dati su tutti: il 60% delle strutture ha più di 40 anni e la metà di tutti gli ospedali ha dimensioni troppo piccole. Ne consegue che nel primo caso siamo di fronte ad edifici non sempre sicuri, nel secondo caso a farla da padrone è l’inefficienza. Un buon ospedale, invece, deve essere pensato e costruito appositamente, dal tetto fino alle cantine. I vecchi edifici storici, per quanto suggestivi, non si possono certo adattare alla medicina del terzo millennio».
Il futuro è sempre più «Day Hospital»
Se fino a poco tempo fa le strutture erano pensate in gran parte per accogliere i malati - l’80% degli spazi erano infatti dedicati alla degenza - adesso la tendenza è opposta. Grazie all’evoluzione della tecnologia, infatti, spazi sempre più consistenti vengono occupati dalle macchine dedicate alla diagnostica, alle terapie e alle sale operatorie. Ottimizzare i processi di cura, abbreviare le attese, la durata del percorso diagnostico e terapeutico e la degenza - dando maggiormente spazio ai «day hospital» - significa migliorare in modo decisivo la resa della «macchina ospedale» e la stessa qualità di vita del paziente. Ma per arrivare a questo risultato di fondamentale importanza è l’architettura con cui viene progettato l’ospedale.
Ospedali sempre più bassi e sviluppati in orizzontale
«Per anni - spiega Mauri - le strutture sono state costruite seguendo un modello verticale. Oggi sappiamo che questa logica è altamente inefficiente. Ospitalità, efficienza e flessibilità si realizzano solo quando un edificio si sviluppa in orizzontale. Ridurre lo sviluppo in altezza significa, per esempio, ridurre i trasporti verticali, spesso fonte di disagi e intoppi. Ecco perché è preferibile che un ospedale moderno non sia più alto di tre piani e che il paziente nei suoi differenti percorsi - dalla sala operatoria alla degenza - non debba essere costretto a trasferimenti verticali o essere «trasportato» per più di 100 metri. Tutto ciò significa condizioni migliori per il malato - oggi in alcuni ospedali il passaggio da un reparto ad un altro è fatto addirittura in ambulanza - e minori risorse da impiegare».
Ripensare alla localizzazione delle sale operatorie e del pronto soccorso
Un altro nodo cruciale nell’organizzazione della struttura è la separazione dei diversi percorsi di chi si reca in ospedale. La parte più esterna deve essere dedicata agli ambulatori, poi alle degenze e, infine, alle sale operatorie. Sul lato opposto, invece, l’accesso al pronto soccorso, subito collegato con queste ultime in caso di estrema urgenza. Il tutto calato in un «villaggio» del tutto simile ad una piccola città, dove si trova una grande varietà di servizi, dalle lavanderie alle palestre, dai ristoranti a vari esercizi commerciali, proprio come accade nelle «mall» delle metropoli.
Non più reparti ma zone divise in base alla gravità del quadro clinico
Un’altra rivoluzione è rappresentata dall’assenza dei reparti divisi per specialità: «Se finora le unità di degenza sono sempre state divise per specialità e sesso, oggi è più che mai fondamentale organizzare i reparti in gruppi diversi, graduati per intensità, tipologia, complessità e durata dell’assistenza in base alle esigenze dei malati. Gli studi dei medici saranno collocati immediatamente accanto a queste aree e saranno aggregati per facilitare lo scambio di conoscenze e pareri», prosegue Mauri.
Camere singole per ridurre le infezioni nosocomiali
Ma un’ulteriore rivoluzione, ancora più visibile all’occhio di chi entra in ospedale, è l’organizzazione dei posti letto. Le camere singole e con bagno privato, con la possibilità di ospitare un parente, e con una serie di servizi, a cominciare dalla temperatura e dalle luci regolabili, saranno sempre più diffuse. I dati a questo proposito parlano chiaro: quando ci sono stanze singole, il benessere del paziente è maggiore e la possibilità di infezioni nosocomiali - vera e propria piaga per gli ospedali - è ridotta al minimo.
Costruire nuovi ospedali consente un risparmio per il sistema sanitario
«Oggi già diverse strutture cominciano ad assomigliare all’ospedale del futuro. Luoghi in cui il paziente, proprio come quando ci si reca in aeroporto per il check-in, non sarà più costretto a “correre” per diversi reparti, ma potrà essere seguito in un unico ambulatorio dove avrà a disposizione i diversi specialisti. Non più un ospedale costruito solo sulle esigenze del medico, bensì su quelle del malato», spiega l’esperto.
Sogno o realtà? A guardare i conti questo cambio di paradigma appare possibile: per un ospedale con queste caratteristiche - e di dimensioni medie - il costo medio si aggira intorno ai 100-150 milioni di euro. Ma grazie alle prestazioni erogate e al risparmio generato dalla maggiore efficienza il rientro dai costi è previsto in periodi brevi, non più di 3-4 anni. Un investimento decisamente più sostenibile rispetto alla laboriosa e difficile ristrutturazione degli ospedali tradizionali, vecchi di decenni e spesso inadeguati.
«Dei mille ospedali italiani solo una minima quota soddisfa questi nuovi requisiti ma culturalmente il concetto di un nuovo modo di fare ospedale sta cominciando a diffondersi» conclude Mauri.
@danielebanfi83
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