Tutti ricorderanno il calcio d’inizio dei Mondiali di Calcio 2014 in Brasile. A tirarlo fu Juliano Pinto, allora ventinovenne paraplegico in grado di controllare con il pensiero uno speciale esoscheletro robotico. Da allora, il gruppo del neuroscienziato brasiliano Miguel Nicolelis, co-direttore del Duke Center for Neuroengineering della Duke University e autore di quel congegno guidato dalle onde cerebrali in grado anche di restituire dei feedback sensoriali a chi lo indossa, ha continuato a lavorare con pazienti incapaci di camminare per la paralisi degli arti inferiori dovuta a lesioni del midollo spinale in seguito a incidenti, cadute, ictus o altri trami.

(Foto di Alberto Santos Dumont Association for Research Support,AASDAP, and Lente Viva Filmes, São Paulo, Brazil)

A due anni di distanza da quel calcio, gli scienziati hanno pubblicato sulla rivista Scientific Reports i risultati dei primi dodici mesi di riabilitazione eseguita con interfacce uomo macchina (in grado cioè di connettere il cervello al computer o alle protesi), di otto pazienti con una diagnosi di paralisi totale non certo recente, cinque di loro essendo paralizzati da almeno cinque anni e due da almeno un decennio.

Sorprendenti, secondo gli autori, i miglioramenti osservati. «È stata una grande sorpresa per noi» ha detto Nicolelis «Nessuno si sarebbe aspettato di vedere quanto abbiamo trovato, ovvero un parziale recupero neurologico delle funzioni senso-motorie e viscerali anche al di sotto del livello della lesione spinale».

(Foto di Alberto Santos Dumont Association for Research Support,AASDAP, and Lente Viva Filmes, São Paulo, Brazil)

Misurando la modulazione dell’attività cerebrale dei soggetti con un caschetto EEG (per l’elettroencefalografia), i ricercatori hanno visto che inizialmente, quando posti in un ambiente virtuale in cui potevano liberamente muoversi camminando, i pazienti paraplegici non mostravano neppure le attivazioni cerebrali tipiche di quando ci si immagina di camminare. «Il cervello aveva completamente cancellato le rappresentazioni dei loro arti inferiori» spiega Nicolelis «solo in seguito re-inserite grazie al training effettuato». Al sistema di realtà virtuale che, utilizzando l’attività cerebrale dei soggetti, simulava il loro perfetto controllo delle gambe, si è poi aggiunto il training con l’esoscheletro controllato dal cervello e altri sistemi di assistenza robotica.

(Monitor di computer del lab oratorio di Miguel Nicolelis mostra l’attività cerebrale di una scimmie che usa un’interfaccia cervello macchina, foto di Shawn Rocco/Duke Health)

Da decenni il professor Nicolelis si è dedica alla comprensione di come il cervello codifica le informazioni relative al movimento. È suo il software in grado di “leggere” l’attività neurale degli esseri umani, interpretandone i comandi motori e di tradurla così in movimenti. Molto noti al grande pubblico di tutto il mondo sono i suoi studi sulle scimmie che hanno imparato a camminare su un tapis roulant utilizzando l’attività cerebrale e a muovere col pensiero una sedia a rotelle verso del cibo.

(Foto di Alberto Santos Dumont Association for Research Support,AASDAP, and Lente Viva Filmes, São Paulo, Brazil)

Recupero della funzionalità e per di più a molti anni dal trauma: quello ottenuto con gli esseri umani paraplegici è un risultato finora mai visto. Ciò, ipotizza Nicolelis, potrebbe esser dovuto al fatto che in molti paraplegici in realtà alcuni nervi rimangono intatti ma «inattivi per mancanza di segnali in arrivo dalla corteccia ai muscoli. Tuttavia con il tempo, il training con l’interfaccia uomo-macchina può aver riallacciato tali fibre nervose, poche ma sufficienti per trasmettere il segnale dalle aree corticali motorie alla spina dorsale».

Dell’intero protocollo di riabilitazione (neuroriabilitazione, sedute di fisioterapia classica e sedute con lo psicologo, visite mediche), il neuroscienziato sottolinea in particolare l’importanza del feedback sensoriale e tattile, in grado di dare al cervello del paziente la sensazione di avere il pieno controllo delle gambe, cioè di star davvero camminando autonomamente e non, come è in realtà, con l’aiuto del congegno. «Questo crea l’illusione e la nostra teoria è che così facendo si induce la plasticità non solo a livello corticale ma anche spinale».

(Foto di Alberto Santos Dumont Association for Research Support,AASDAP, and Lente Viva Filmes, São Paulo, Brazil)

Lo studio è parte del progetto Walk Again Project in corso a San Paulo in Brasile, i cui prossimi passi includono, oltre alla prosecuzione degli studi sui pazienti con lesioni di vecchia data e alla creazione di apparecchiature mobili e snelle per soggetti non residenti vicino ai grandi centri, anche un nuovo trial con reclutamento di soggetti con lesioni più recenti, per vedere se in costoro un protocollo di riabilitazione più rapido possa essere più efficace o portare ad effetti più immediati.


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