«Per induzione del travaglio di parto si intendono gli interventi medici che vengono eseguiti per far iniziare il travaglio ed ottenere la nascita del bimbo prima che i meccanismi naturali lo facciano spontaneamente.
La natura ha previsto che quando una gravidanza raggiunge il termine ed è quindi il momento che il bambino nasca, l’utero da una fase di riposo e di accoglienza del feto inizi una attività fatta di contrazioni forti e dolorose per espellerlo e metterlo al mondo» spiega Claudio Crescini, vice presidente Nazionale AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani).
L’induzione del parto è una pratica alla quale si ricorre anche quando la gestante soffre di ipertensione, se è affetta da un diabete non compensato, se il feto è troppo piccolo o se il liquido amniotico è troppo scarso. In tutti questi casi è necessario che il bambino venga alla luce, ma non vi è l’urgenza di un taglio cesareo, si dispone cioè di un lasso di tempo sufficiente per tentare di far avvenire il parto naturalmente. Anche relativamente all’induzione del parto si sono espressi durante il Congresso Nazionale di Ginecologia e Ostetricia recentemente svoltosi a Napoli, gli esperti riuniti che hanno anche sottoscritto 5 raccomandazioni che contemplano tre momenti legati al parto: travaglio, taglio cesareo e clampaggio del cordone ombelicale. Proprio riguardo all’induzione del parto si è sottolineato come non si dovrebbe procedere all’induzione del travaglio di parto prima di 39 settimane. L’induzione del travaglio, infatti va a medicalizzare un evento del tutto fisiologico, e, in più, può creare un aumento del ricorso al taglio cesareo.
Il drammatico racconto di una madre: “Per mia figlia una notte intera di atroci e inutili sofferenze, poi il cesareo”
claudia carucciPerché non è prudente aspettare oltre le 41 settimane
Una volta trascorse le 41 settimane più altri 3 o 5 giorni, ogni ospedale si regola in maniera leggermente diversa, comincia ad aumentare il rischio che la placenta non riesca a sopportare il travaglio, perché invecchiata e perché non riesce a nutrire adeguatamente il piccolo. Ecco perché è consigliabile intervenire, sempre previo consenso materno.
«Sappiamo che la gravidanza nella specie umana dura in media 280 giorni e che il feto è a termine tra 37 e 42 settimane, ma non sappiamo con esattezza la durata precisa per ogni singola donna. – Chiarisce Elsa Viora - Presidente nazionale AOGOI che aggiunge- Ci sono situazioni particolari in cui il protrarsi della gravidanza può o potrebbe mettere a rischio la salute o la vita della madre o del bimbo e quindi probabilmente interrompere la gravidanza è vantaggioso. Sappiamo anche che se la gravidanza dovesse eccezionalmente durare troppo a lungo l’ambiente all’interno dell’utero potrebbe non essere più adatto alla vita del feto provocandone la morte. Esistono quindi, in base alle attuali conoscenze scientifiche, condizioni particolari in cui stimolare il travaglio ed interrompere la gravidanza ha una giustificazione medica».
Induzione del parto: metodi farmacologici e meccanici
Quando si decide, dunque, per l’induzione del parto, si può optare per un approccio farmacologico o meccanico. Il primo prevede la somministrazione di farmaci a base di prostaglandine per via orale: questo è il metodo più usato al mondo e come tale raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). È efficace se il collo dell’utero è ancora chiuso e quindi il travaglio non è iniziato affatto. Se, invece, il collo dell’utero è già appianato e sono presenti già contrazioni spontanee si procede con infusione di un analogo dell’ossitocina, l’ormone responsabile del travaglio e del parto. Si può anche ricorrere a metodi meccanici: sono più economici dei metodi farmacologici e sfruttano la produzione endogena di prostaglandine. Di conseguenza tali metodi offrono a considerare meno effetti avversi, ma sono più lenti e meno efficaci. Se il collo dell’utero è dilatato, inoltre, vi è la concreta possibilità che vengano espulsi e comunque non si possono usare nelle donne con membrane rotte.
Perché l’induzione del parto può fallire?
Indurre il parto non significa partorire come spiega ancora la Dott.ssa Viora: «Ancora oggi non conosciamo esattamente i meccanismi fisiologici che scatenano il travaglio, sicuramente ha un ruolo importante il feto che giunto a maturità invia segnali che stimolano l’utero ad attivarsi, ma tutto il sistema è estremamente complesso ed oggetto di studio. I metodi di cui disponiamo per indurre artificialmente il travaglio di parto prima che insorga spontaneamente sono molti, dalla rottura artificiale del sacco amniotico al suo scollamento con un dito senza provocarne la rottura, dall’uso dell’ossitocina alle prostaglandine fino all’introduzione nel collo dell’utero di un palloncino. Ogni metodo ha vantaggi e svantaggi ed in ogni caso non è uguale ai meccanismi fisiologici che peraltro neppure conosciamo del tutto».
Per questo conclude il dottor Crescini: «Tra i principali svantaggi o complicanze possiamo ricordare che alcuni di questi metodi possono stimolare troppo l’utero con un eccesso di contrazioni tali da danneggiare il feto oppure all’opposto fallire e non far partire il travaglio. Una delle conseguenze delle induzioni del travaglio è inoltre quella di costringere in caso di fallimento ad eseguire un taglio cesareo. In conclusione possiamo dire che in alcuni casi abbiamo la certezza che l’induzione è vantaggiosa, ma in altri casi pensiamo che lo sia ma non abbiamo una sicurezza matematica. La sfida che l’ostetricia ha oggi davanti è duplice: affinare i mezzi diagnostici per selezionare con la massima precisione possibile le donne che realmente si possono avvantaggiare di questo intervento medico e personalizzare la metodica utilizzata in modo da minimizzare fallimenti ed effetti avversi».