La tempestività è cruciale. Ma la finestra per sciogliere un trombo responsabile di un ictus e salvare la vita al paziente è più lunga di quanto si riteneva in passato. La «barriera» delle sei ore, di fatto, oggi non esiste più. Lo spazio per un intervento efficace si estende di sicuro fino a nove ore, come sancisce una metanalisi pubblicata sulla rivista «The Lancet».

Un’opportunità per tutti quei pazienti che arrivano in ritardo in ospedale o che, per altre ragioni, non possono essere sottoposti all’intervento di chirurgia endovascolare per la rimozione del trombo .

Trombolisi efficace anche dopo 9 ore

Avere più tempo per somministrare il trattamento che può salvare la vita di un paziente colpito da un ictus cerebrale (sono 150mila ogni anno, soltanto in Italia) permette di aumentare le possibilità di recupero e limitare le conseguenze disabilitanti causate dall’evento acuto. Con la trombolisi, si procede alla somministrazione di un farmaco capace di liberare l’arteria cerebrale occlusa nelle prime ore dopo l’intervento.

L’intervallo in cui questa procedura si rivela efficace oggi si scopre superiore rispetto a quanto finora osservato. Danilo Toni, direttore dell’unità di trattamento neurovascolare e neurologia d’urgenza Policlinico Umberto I di Roma, conferma che il trattamento dell’ictus è «tempo-dipendente»: «La mortalità, il rischio di emorragie intracraniche e le disabilità permanenti diminuiscono in maniera significativa ogni 15 minuti giocati in anticipo - dichiara l’esperto, presidente dell’Italian Stroke Organization -. Per questo è fondamentale che, in presenza dei sintomi dell’ictus, una persona venga trasportata dall’ambulanza del 112 al pronto soccorso più vicino, ma di ospedale dotato di una unità neurovascolare». Oggi si riconosce, però, che questo intervallo può durare fino a nove ore: non in tutti i pazienti, ma in quelli che hanno dato determinati riscontri all’esame dell’imaging cerebrale.

Più tempo per salvarsi dall’ictus cerebrale

Per rientrare in questo sottogruppo, occorre che l’area colpita dall’ictus non sia troppo estesa e che ci sia una larga area del cervello a rischio ischemia, ma ancora salvabile. Il dato delle nove ore giunge un anno dopo un altro, pubblicato sul «New England Journal of Medicine», che aveva evidenziato una efficacia del trattamento farmacologico (nel ridurre le conseguenze) fino anche a 24 ore dopo l’inizio dell’evento acuto. Ancor più in questo caso, è però cruciale selezionare i pazienti (l’efficacia non è uguale per tutti). In questi casi l’obiettivo, oltre alla riduzione della mortalità, è il contenimento delle disabilità determinate dall’ictus: i cui numeri crescono di pari passo con il calo dei decessi dovuti alla malattia. Si sopravvive più che in passato (oggi 8 persone su 10 riescono a sconfiggere un «killer» come l’ictus cerebrale), ma si «paga un prezzo» più alto negli anni successivi .

Trombolisi o trombectomia?

In alternativa, per i pazienti colpiti da un ictus, c’è la possibilità di essere sottoposti alla rimozione del trombo per via meccanica. Attraverso un catetere inserito nell’arteria femorale, è possibile risalire sino al cervello e arrivare nella zona dove è presente l’ostruzione. La scelta di quale tecnica utilizzare dipende dalle dimensioni e dalla localizzazione del trombo, oltre che dall’eventuale contemporanea presenza di altre condizioni (nelle persone operate da poco o in terapia anticoagulante non è possibile ricorrere al trattamento farmacologico).

Secondo gli esperti, circa il 20-30 per cento degli ictus è causato da trombi di grandi dimensioni che vanno a ostruire i grandi vasi. In questi casi, con i farmaci si può fare poco. La rimozione meccanica è dunque considerata più indicata e di maggiore successo. Fondamentale si conferma nuovamente il fattore tempo. Ogni minuto perso aumenta sensibilmente la probabilità di non sopravvivere all’evento o di dover convivere con una grave disabilità.

Twitter @fabioditodaro