Sono 25 i chilogrammi di pesce consumati da ogni italiano in un anno e la maggior parte di essi viene mangiata cruda. E nel pesce crudo, avverte il ministero della Salute, è alto il rischio di restare intossicati dall'Anisakis, micro organismo (un vermicello) lungo fino a tre centimetri. Come difendersi? I dati della Coldiretti sui consumi sono rafforzati dal proliferare di attività di ristorazione che negli ultimi anni hanno subito una riconversione: da "cinesi" a specializzati in sushi low cost, bar, take away, ristoranti.

Un fenomeno che il ministero della Salute cerca di controllare anche tramite la diffusione in questi giorni di circolari informative sul corretto impiego di prodotti della pesca in caso di preparazione domestica, tanto da prevedere che nei punti vendita vengano date tali informazioni attraverso un apposito cartello che ricorda il Decreto 17 luglio 2013 in attuazione della legge 8 novembre 2012, n. 189. La circolare è ora presente anche in diversi siti istituzionali delle varie Asl territoriali. Il rischio d'intossicazione c'è e allora è meglio imparare a mangiare pesce crudo trattato correttamente piuttosto che finire ricoverati in ospedale per un shock anafilattico.


Per Agostino Messineo, docente di Medicina del lavoro al corso di laurea Tecnico della Prevenzione all’università La Sapienza, il lavoro di prevenzione è alla base di una corretta condotta: «È necessario potenziare i servizi di sorveglianza alimentare - ha detto - soprattutto in un momento dove la carenza d’igiene è sempre più presente a causa di attività di ristorazione svolte in maniera molto smart, mi riferisco ad ambulanti ma anche ad attività scarsamente controllate che negli ultimi tempi si sono adeguate alla moda del pesce crudo. Il problema è che il personale ispettivo è poco e molto anziano e nonostante i buoni propositi del Governo, siamo in un periodo in cui c’è un minore finanziamento. Senza una adeguata cura della prevenzione e con carenza di controlli - ha concluso Messineo - può succedere più spesso di trovare sulle nostre tavole pesce crudo non correttamente abbattuto e quindi con presenza del temuto microrganismo Anisakis».


Cos’è l’Anisakis Si tratta di un vermicello lungo circa tre centimetri, spesso arrotolato su se stesso e visibile ad occhio nudo di colore bianco rosato che è solito annidarsi nei muscoli e nell’addome di tonno, salmone, sardina, acciuga, merluzzo, nasello e sgombro. L'anisakis è estremamente diffuso basti pensare che è presente in più dell'85% delle aringhe, nell'80% delle triglie e nel 70% dei merluzzi. La cottura o il congelamento rappresentano tuttavia un efficace metodo per garantirne la sicurezza del pesce che si consuma.


L’infezione La parassitosi acuta da anisakis insorge già dopo poche ore dall'ingestione di pesce crudo e si manifesta con intenso dolore addominale, nausea e vomito. Le forme croniche sono diverse, possono mimare svariate malattie infiammatorie e ulcerose del tratto intestinale oppure coinvolgere altri organi come fegato, milza, pancreas, vasi ematici e miocardio. Possibili anche reazioni allergiche fino allo shock anafilattico, a causa della sensibilizzazione alle proteine antigeniche termoresistenti del parassita.


La cura e gli obblighi Spesso per curarsi dall'Anisakis è necessario l'intervento chirurgico, per asportare la parte dell'intestino invasa dai parassiti. Una circolare del ministero di sanità del 1992, ancora in vigore, obbliga chi somministra pesce crudo o in salamoia - il limone e l'aceto non hanno alcun effetto sul parassita - ad utilizzare pesce congelato o a sottoporre a congelamento preventivo il pesce fresco da somministrare crudo. Infatti l'anisakis e le sue larve muoiono se sottoposti a 60 gradi di temperatura, oppure dopo 96 ore a -15° C, 60 ore a -20° C, 12 ore a –30° C, 9 ore a -40° C.

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