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Una «transgender» in grado di allattare. Il primo caso al mondo di questo tipo ha riguardato una persona statunitense di trent’anni, che ha così sopperito a ciò che la sua partner non voleva fare. La donna - nata uomo - ha così deciso di voler provare a fare le sue veci. E ci è riuscita, grazie a un «cocktail» di farmaci e di ormoni che le hanno permesso di produrre circa 230 grammi di latte al giorno per tre mesi e mezzo.

Primo caso al mondo

Il caso, primo al mondo, è stato descritto sull’ultimo numero della rivista «Transgender Health». La storia è ambientata nel centro specializzato sulla chirurgia e la medicina dei trans gender del Mount Sinai Hospital di New York. Alla donna - che già diversi anni prima era stata sottoposta a una terapia ormonale mirata allo sviluppo di caratteristiche fenotipiche femminili, senza dover ricorrere ad alcun intervento chirurgico: né al seno né per la rimozione dei testicoli (orchiectomia) e la ricostruzione dei genitali femminili (vaginoplastica) - è stato chiesto di assumere un mix di farmaci: composto da ormoni, un rimedio per la nausea e uno per la stimolazione del seno. La produzione di latte è stata innescata somministrando domperidone, un farmaco contro la nausea che, assunto in dosi crescenti assieme agli altri farmaci, ha determinato l’inizio della montata lattea. La produzione è risultata sufficiente per un mese e mezzo, durante il quale la donna ha allattato il proprio figlio in maniera esclusiva al seno: con la conferma da parte del pediatra che il percorso di crescita era privo di intoppi.

Cosa rimane da capire

Il domperidone è un antiemetico usato «off label» - ovvero anche in situazioni differenti da quelle per cui ha ricevuto l’ok all’immissione in commercio, anche se negli Stati Uniti un simile impiego è stato sconsigliato dalla «Food and Drug Administration» - come galattogogo: ovvero in grado di stimolare la montata lattea. Non è certo però che sia tutto merito suo, se la donna è riuscita a produrre latte dalle ghiandole mammarie.

Secondo l’endocrinologo Joshua Safer, che dirige un analogo centro per i transgender a Boston e che non ha preso parte alla sperimentazione, «il merito potrebbe infatti essere anche soltanto della stimolazione mammaria»: avvenuta somministrando spironolattone (uno steroide che blocca l’azione del testosterone nelle cellule target), estrogeni e progesterone.

Motivo per cui è ancora presto per pensare di raccomandare un simile trattamento ad altri transgender che dovessero manifestare le volontà di allattare un bambino: considerando peraltro che la quantità di alimento sintetizzata è risultata comunque inferiore rispetto alla media di circa 500 grammi che un bambino consuma a partire dai cinque giorni di vita.

Rimane da chiarire infine se le proprietà nutrizionali del latte prodotto dalla donna siano identiche a quelle riscontrabili in tutti gli altri casi. Un’analisi chimica di questo tipo non è stata condotta: che i benefici dell’allattamento al seno siano analoghi a quelli noti da tempo e riguardanti donne non transgender è dunque ancora da dimostrare.

Twitter @fabioditodaro

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