Che cos’è la creatività? Creativi si nasce o si diventa? Perché quando si riesce a essere creativi anche nella quotidianità ci si sente bene?
Presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica è presente l’unità di Ricerca in Psicologia della Creatività e dell’Innovazione. Tale unità è stata istituita con l’obiettivo di favorire lo scambio e la collaborazione tra ricercatori e docenti che, da diverse prospettive, si occupano di studiare la creatività e le sue potenzialità.
L'unità si pone quindi come punto di incontro e confronto di esperienze diverse, coniugando prospettive di stampo psicologico, economico e educativo. L’Unità è inserita in un ampio network di collaborazioni con prestigiosi istituti e centri di ricerca a livello internazionale e svolge regolarmente anche attività di formazione e consulenza sulle tematiche inerenti alla creatività e all’innovazione.
Abbiamo posto alcune domande sulla creatività al professor Andrea Gaggioli coordinatore dell’unità di Ricerca in Psicologia della Creatività e dell’Innovazione e professore Ordinario di Psicologia Generale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Milano.
Cosa si intende per creatività?
«La creatività rappresenta indubbiamente uno degli oggetti di studio più sfuggenti, affascinanti e complessi della psicologia e delle neuroscienze. Esistono molte definizioni della creatività, che dipendono dalla particolare angolatura attraverso la quale si guarda a questo fenomeno. Una delle più efficaci è quella che vede la creatività come il processo tramite cui si arriva a generare qualcosa di nuovo e di utile. In altre parole, la creatività non consiste solo nell’inventare qualcosa di originale; per poter essere considerato creativo, quel “qualcosa” deve anche poter essere utilizzabile per uno scopo, per un fine; o comunque esitare in un risultato che sia significativo e apprezzabile in un determinato contesto sociale. Chi studia la creatività trova inoltre utile distinguere tra due tipologie di attività creativa: la “piccola c” (Little-c) e la “Grande C” (Big-C)».
Può spiegare in cosa differisce la piccola c dalla grande C?
«Per piccola c si intendono le piccole invenzioni del quotidiano, che gli individui valorizzano confrontandosi con le altre persone: ad esempio, quando si organizza una cena tra amici, ma all’ultimo minuto si scopre di avere solo pochi ingredienti nel frigo, entra in gioco la “Little-C”. La Big-C, invece, riguarda soprattutto i contesti professionali, e si maniefsta attraverso un’idea o un’invenzione in grado di cambiare radicalmente il modo di pensare o di agire in un determinato dominio. Ne sono esempi le grandi teorie scientifiche, come il modello evoluzionistico di Darwin, o la Relatività di Einstein. I contributi della Big-C si riconoscono per il fatto che queste idee sono universalmente riconosciute come un cambiamento di paradigma, in quanto conducono ad una vera e propria trasformazione di interi territori della conoscenza umana».
La creatività è un dono innato o è una capacità che tutti possono sviluppare e affinare?
«Proprio a causa della difficoltà intrinseca nel definire cosa sia la creatività e come misurarla, stabilire quanto questa abilità sia spiegata da fattori ereditari o socio-culturali è un compito assai arduo. Dal punto di vista empirico, le basi genetiche della creatività sono state esaminate soprattutto attraverso gli studi sui gemelli etero- e monozigoti, con la finalità di riuscire a stabilire il grado in cui eventuali somiglianze o differenze nella capacità creativa potessero essere ascritte al DNA o all’influenza dell’ambiente, e quindi della cultura. A causa del numero relativamente scarso di queste ricerche, è difficile giungere a conclusioni definitive, tuttavia dai dati disponibili è possibile stimare che i fattori genetici siano meno influenti rispetto ai fattori ambientali. Quindi la creatività è una capacità che può essere ampiamente sviluppata, anche se la genetica aiuta».
Tutti i bambini nascono creativi dunque?
«I bambini hanno capacità creative sorprendenti, soprattutto se paragonate a quelle degli adulti. Il pensiero infantile è il pensiero creativo par excellence. A Picasso si attribuisce questo aforisma: “In ogni bambino c'è un artista. Il problema è capire come rimanere artisti quando si diventa adulti”. Non è solo retorica. La qualità principale dei bambini è quella di esplorare connessioni nuove, anche se totalmente implausibili; insomma, quella di provarci sempre. Soprattutto, i bambini non temono il fallimento come gli adulti e non sono così vincolati al mantra di “fare la cosa giusta”. Questo li rende dei natural-born inventors. Se penso a Elon Musk, il visionario imprenditore che è riuscito a portare alla maturità il business della auto elettrica e a realizzare un’impresa aereospaziale che si propone niente di meno che colonizzare Marte, ci vedo esattamente questo: la creatività di un bambino nel corpo di un adulto».
E’ un bene puntare all’ottimizzazione della creatività in tutti i bambini?
«La creatività può essere certamente sviluppata, e i processi educativi hanno un ruolo essenziale. In questo senso, credo che il nostro sistema scolastico possa e debba fare di più per promuovere questa importante capacità. Non dobbiamo dimenticare che i bambini di oggi sono le persone che guideranno la società del 2050. Nessuno può prevedere le sfide che ci attendono nel mondo post-pandemico. Per poterle affrontare con successo, ci sarà un bisogno fenomenale di leader creativi, dal pensiero flessibile, che sappiano vedere nella complessità un’opportunità e non un rischio o un limite. Le soluzioni alle sfide epocali che ci attendono passeranno necessariamente da un dialogo tra saperi che oggi sono sideralmente distanti, come quello umanistico e quello tecnologico. Ancora più difficile è capire quanta autonomia le macchine lasceranno all’uomo. Grazie agli enormi progressi delle scienze computazionali, l’intelligenza sta diventando sempre di più una commodity, un servizio che è letteralmente possibile acquistare online.
La creatività come caratteristica non automatizzabile: va valorizzata anche per questo?
«La creatività è in effetti un processo non automatizzabile per il momento e forse non lo sarà ancora a lungo. Per questo ritengo che il valore di questa capacità, anche in termini economici, non potrà che crescere nel tempo. Investire sulla creatività dei bambini degli anni Venti significa investire sulla capacità di sviluppo, sulla resilienza e sulla prosperità della società del prossimo futuro. Non a caso, la scienza fa fatica a spiegare le grandi performance e i grandi traguardi nella vita sulla base del solo quoziente intellettivo: la creatività interagisce in modo cruciale con la sfera delle emozioni, non rappresenta una capacità puramente cognitiva. Ad esempio, nelle nostre ricerche abbiamo osservato che emozioni complesse come la meraviglia possono promuovere la creatività. Per questo, abbiamo recentemente avviato un progetto finanziato da Fondazione Cariplo che si propone di usare il linguaggio del teatro per rieducare gli studenti al senso della meraviglia, che come Aristotele ci insegna, è il primo motore della philosophía, dell’amore per la conoscenza».
La creatività, dunque, non è utile solo in campo artistico.
«Indubbiamente la creatività si manifesta nel modo più eclatante nell’ambito artistico. Ma sarebbe limitativo identificare la creatività a questo dominio. Essa è una capacità trasversale che feconda ogni campo del sapere umano. C’è molta più creatività in ambito matematico o ingegneristico di quanto si possa immaginare. La creatività significa essenzialmente distruggere, ampliare, modificare, ribaltare e “giocare con” gli schemi esistenti – che tuttavia è necessario conoscere profondamente - per rivelare un modo diverso di vedere le cose. Per questo il suo contributo al progresso della conoscenza umana è universale».
In che modo l’utilizzo della creatività si ripercuote sulla salute psicologica?
«La creatività è sia un fattore determinante che un importante indicatore del benessere mentale. L’atto creativo si accompagna ad un’esperienza di profonda connessione che gli psicologi chiamano “flow”. Si tratta di uno stato di coscienza complesso, che si caratterizza per la totale fusione tra azione e consapevolezza. È uno stato mentale ottimale che per molti artisti e scrittori rappresenta una fonte di motivazione intrinseca, una ricompensa “interna” che da sola assume un valore superiore rispetto ad altre ricompense “esterne” che possono derivare dall’attività creativa, come la fama, il prestigio o il denaro. Il flow è una dimensione essenziale della salute psicologica, in quanto consente alle persone di esprimere e coltivare le migliori potenzialità della propria natura. Il pensiero creativo stesso implica una flessibilità mentale che permette alle persone di affrontare anche le situazioni più dure della vita, promuovendo la resilienza».
E su quella fisica?
«Svolgere e coltivare attività creative promuove lo sviluppo personale e rappresenta un efficace strumento terapeutico, il cui potenziale per la salute psico-fisica è riconosciuto dalle culture di ogni tempo e latitudine. I risultati di una moltitudine di studi scientifici e clinici indicano che la partecipazione in attività creative, come quelle artistiche, produce benefici significativi sia per la dimensione psicologica che per quella fisica».
Che cos’è la creatività? Creativi si nasce o si diventa? Perché quando si riesce a essere creativi anche nella quotidianità ci si sente bene?
Presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica è presente l’unità di Ricerca in Psicologia della Creatività e dell’Innovazione. Tale unità è stata istituita con l’obiettivo di favorire lo scambio e la collaborazione tra ricercatori e docenti che, da diverse prospettive, si occupano di studiare la creatività e le sue potenzialità.
L'unità si pone quindi come punto di incontro e confronto di esperienze diverse, coniugando prospettive di stampo psicologico, economico e educativo. L’Unità è inserita in un ampio network di collaborazioni con prestigiosi istituti e centri di ricerca a livello internazionale e svolge regolarmente anche attività di formazione e consulenza sulle tematiche inerenti alla creatività e all’innovazione.
Abbiamo posto alcune domande sulla creatività al professor Andrea Gaggioli coordinatore dell’unità di Ricerca in Psicologia della Creatività e dell’Innovazione e professore Ordinario di Psicologia Generale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Milano.
Cosa si intende per creatività?
«La creatività rappresenta indubbiamente uno degli oggetti di studio più sfuggenti, affascinanti e complessi della psicologia e delle neuroscienze. Esistono molte definizioni della creatività, che dipendono dalla particolare angolatura attraverso la quale si guarda a questo fenomeno. Una delle più efficaci è quella che vede la creatività come il processo tramite cui si arriva a generare qualcosa di nuovo e di utile. In altre parole, la creatività non consiste solo nell’inventare qualcosa di originale; per poter essere considerato creativo, quel “qualcosa” deve anche poter essere utilizzabile per uno scopo, per un fine; o comunque esitare in un risultato che sia significativo e apprezzabile in un determinato contesto sociale. Chi studia la creatività trova inoltre utile distinguere tra due tipologie di attività creativa: la “piccola c” (Little-c) e la “Grande C” (Big-C)».
Può spiegare in cosa differisce la piccola c dalla grande C?
«Per piccola c si intendono le piccole invenzioni del quotidiano, che gli individui valorizzano confrontandosi con le altre persone: ad esempio, quando si organizza una cena tra amici, ma all’ultimo minuto si scopre di avere solo pochi ingredienti nel frigo, entra in gioco la “Little-C”. La Big-C, invece, riguarda soprattutto i contesti professionali, e si maniefsta attraverso un’idea o un’invenzione in grado di cambiare radicalmente il modo di pensare o di agire in un determinato dominio. Ne sono esempi le grandi teorie scientifiche, come il modello evoluzionistico di Darwin, o la Relatività di Einstein. I contributi della Big-C si riconoscono per il fatto che queste idee sono universalmente riconosciute come un cambiamento di paradigma, in quanto conducono ad una vera e propria trasformazione di interi territori della conoscenza umana».
La creatività è un dono innato o è una capacità che tutti possono sviluppare e affinare?
«Proprio a causa della difficoltà intrinseca nel definire cosa sia la creatività e come misurarla, stabilire quanto questa abilità sia spiegata da fattori ereditari o socio-culturali è un compito assai arduo. Dal punto di vista empirico, le basi genetiche della creatività sono state esaminate soprattutto attraverso gli studi sui gemelli etero- e monozigoti, con la finalità di riuscire a stabilire il grado in cui eventuali somiglianze o differenze nella capacità creativa potessero essere ascritte al DNA o all’influenza dell’ambiente, e quindi della cultura. A causa del numero relativamente scarso di queste ricerche, è difficile giungere a conclusioni definitive, tuttavia dai dati disponibili è possibile stimare che i fattori genetici siano meno influenti rispetto ai fattori ambientali. Quindi la creatività è una capacità che può essere ampiamente sviluppata, anche se la genetica aiuta».
Tutti i bambini nascono creativi dunque?
«I bambini hanno capacità creative sorprendenti, soprattutto se paragonate a quelle degli adulti. Il pensiero infantile è il pensiero creativo par excellence. A Picasso si attribuisce questo aforisma: “In ogni bambino c'è un artista. Il problema è capire come rimanere artisti quando si diventa adulti”. Non è solo retorica. La qualità principale dei bambini è quella di esplorare connessioni nuove, anche se totalmente implausibili; insomma, quella di provarci sempre. Soprattutto, i bambini non temono il fallimento come gli adulti e non sono così vincolati al mantra di “fare la cosa giusta”. Questo li rende dei natural-born inventors. Se penso a Elon Musk, il visionario imprenditore che è riuscito a portare alla maturità il business della auto elettrica e a realizzare un’impresa aereospaziale che si propone niente di meno che colonizzare Marte, ci vedo esattamente questo: la creatività di un bambino nel corpo di un adulto».
E’ un bene puntare all’ottimizzazione della creatività in tutti i bambini?
«La creatività può essere certamente sviluppata, e i processi educativi hanno un ruolo essenziale. In questo senso, credo che il nostro sistema scolastico possa e debba fare di più per promuovere questa importante capacità. Non dobbiamo dimenticare che i bambini di oggi sono le persone che guideranno la società del 2050. Nessuno può prevedere le sfide che ci attendono nel mondo post-pandemico. Per poterle affrontare con successo, ci sarà un bisogno fenomenale di leader creativi, dal pensiero flessibile, che sappiano vedere nella complessità un’opportunità e non un rischio o un limite. Le soluzioni alle sfide epocali che ci attendono passeranno necessariamente da un dialogo tra saperi che oggi sono sideralmente distanti, come quello umanistico e quello tecnologico. Ancora più difficile è capire quanta autonomia le macchine lasceranno all’uomo. Grazie agli enormi progressi delle scienze computazionali, l’intelligenza sta diventando sempre di più una commodity, un servizio che è letteralmente possibile acquistare online.
La creatività come caratteristica non automatizzabile: va valorizzata anche per questo?
«La creatività è in effetti un processo non automatizzabile per il momento e forse non lo sarà ancora a lungo. Per questo ritengo che il valore di questa capacità, anche in termini economici, non potrà che crescere nel tempo. Investire sulla creatività dei bambini degli anni Venti significa investire sulla capacità di sviluppo, sulla resilienza e sulla prosperità della società del prossimo futuro. Non a caso, la scienza fa fatica a spiegare le grandi performance e i grandi traguardi nella vita sulla base del solo quoziente intellettivo: la creatività interagisce in modo cruciale con la sfera delle emozioni, non rappresenta una capacità puramente cognitiva. Ad esempio, nelle nostre ricerche abbiamo osservato che emozioni complesse come la meraviglia possono promuovere la creatività. Per questo, abbiamo recentemente avviato un progetto finanziato da Fondazione Cariplo che si propone di usare il linguaggio del teatro per rieducare gli studenti al senso della meraviglia, che come Aristotele ci insegna, è il primo motore della philosophía, dell’amore per la conoscenza».
La creatività, dunque, non è utile solo in campo artistico.
«Indubbiamente la creatività si manifesta nel modo più eclatante nell’ambito artistico. Ma sarebbe limitativo identificare la creatività a questo dominio. Essa è una capacità trasversale che feconda ogni campo del sapere umano. C’è molta più creatività in ambito matematico o ingegneristico di quanto si possa immaginare. La creatività significa essenzialmente distruggere, ampliare, modificare, ribaltare e “giocare con” gli schemi esistenti – che tuttavia è necessario conoscere profondamente - per rivelare un modo diverso di vedere le cose. Per questo il suo contributo al progresso della conoscenza umana è universale».
In che modo l’utilizzo della creatività si ripercuote sulla salute psicologica?
«La creatività è sia un fattore determinante che un importante indicatore del benessere mentale. L’atto creativo si accompagna ad un’esperienza di profonda connessione che gli psicologi chiamano “flow”. Si tratta di uno stato di coscienza complesso, che si caratterizza per la totale fusione tra azione e consapevolezza. È uno stato mentale ottimale che per molti artisti e scrittori rappresenta una fonte di motivazione intrinseca, una ricompensa “interna” che da sola assume un valore superiore rispetto ad altre ricompense “esterne” che possono derivare dall’attività creativa, come la fama, il prestigio o il denaro. Il flow è una dimensione essenziale della salute psicologica, in quanto consente alle persone di esprimere e coltivare le migliori potenzialità della propria natura. Il pensiero creativo stesso implica una flessibilità mentale che permette alle persone di affrontare anche le situazioni più dure della vita, promuovendo la resilienza».
E su quella fisica?
«Svolgere e coltivare attività creative promuove lo sviluppo personale e rappresenta un efficace strumento terapeutico, il cui potenziale per la salute psico-fisica è riconosciuto dalle culture di ogni tempo e latitudine. I risultati di una moltitudine di studi scientifici e clinici indicano che la partecipazione in attività creative, come quelle artistiche, produce benefici significativi sia per la dimensione psicologica che per quella fisica».