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Questo articolo è stato scritto a mano, solo successivamente ribattuto al computer. Non tanto per ripercorrere nostalgicamente il modus operandi dei nostri colleghi ottocenteschi, quanto per trattare con un po’ di coerenza un tema sollevato da una recentissima petizione al Ministero dell’Istruzione che, in pochi giorni, ha raccolto migliaia di firme: “Promuoviamo la bellezza della scrittura a mano” .

Lanciata (in vista di una tormentata riapertura delle scuole) dall’archeologo e scrittore Carlo Di Clemente insieme al blogger Stefano Molini, chiede al ministro Lucia Azzolina e agli insegnanti di ogni ordine e grado il massimo impegno affinché i ragazzi tornino a esercitarsi nel corsivo. Come auto-constatato amaramente dallo scrivente, infatti, una calligrafia elegante è una di quelle cose che, o si imparano bene da piccoli, o diventa difficile, poi, rimettere a punto.

Ma qui non si tratta solo di una questione estetica (e di rispetto verso l’insegnante che deve correggere i compiti) bensì dello sviluppo cognitivo dei nostri bambini, della prevenzione della dislessia, di un prezioso patrimonio educativo e di una capacità umana antica di 5000 anni che stiamo irrimediabilmente perdendo.

Dai piccoli allievi degli scribi sumeri, fino alla scuola degli anni ’60, bambini e ragazzi si sono sempre applicati allo studio della bella scrittura. La gran parte dei nostri lettori con la chioma d’argento ricorderà l’”ora di calligrafia” inserita fra le materie di studio. Stando a varie testimonianze, era un momento piacevole, di silenziosa e rilassante applicazione, con lunghe file di lettere corsive minuscole e maiuscole tracciate sul quaderno, perfino la barocchissima ”H” che in pochi ricordano oggi come si disegni.

Poi venne il ’68, la contestazione, e l’ora di calligrafia fu relegata in soffitta fra tutti quegli strumenti educativi ritenuti “mortificanti della libera espressione creativa”. Tuttavia, confrontando i temini scolastici dei ragazzi di oggi con quelli dei loro nonni, l’unica differenza apprezzabile è che i primi sono mediamente meno leggibili e più disordinati. Non si può non rimanere ammirati, invece, leggendo lettere o diari vergati un secolo fa: una precisione e una pulizia quasi tipografiche. Non è un caso che oggi, a scuola, i pochi insegnanti che ancora fanno scrivere a mano, soprattutto dopo il colpo di grazia fornito dalla Didattica a distanza, pretendano lo stampatello.

Nulla di paragonabile, tuttavia, al corsivo, uno stile grafico tramandato (nella sua forma attuale) fin dal ‘500 e pensato per la penna d’oca, ma ancor oggi perfettamente funzionale a scrivere con continuità, coerenza e fluidità. Sarebbe più consigliabile utilizzare la stilografica, dato che possiede parte dell’elasticità del pennino antico, ma anche la biro va benissimo: è infatti uno stile che si confà particolarmente ai bambini, riproducendo quegli spontanei movimenti della mano che vediamo nei loro scarabocchi: onde, cerchi e ghirigori.

«Per questo è assolutamente vitale – spiega il noto pedagogista Daniele Novara – ribaltare il concetto che si è sedimentato oggi della scrittura a mano. Non è un optional, rispetto a quella digitale, ma esattamente l’opposto. Non c’è nulla che possa prendere il suo posto per lo sviluppo di quelle capacità neuromotorie di cui i bambini di oggi hanno estremo bisogno. In tutto il mondo occidentale i genitori sono diventati iper-protettivi, ma soprattutto in Italia: abbiamo bambini, fortemente sedentarizzati, che non sanno allacciarsi le scarpe, altri che non sanno lavarsi i denti da soli e in molti, in troppi, fanno colazione col biberon fino all’età scolare. Quindi, la battaglia, prima che per la bella calligrafia deve essere proprio per la scrittura a mano: la scuola dovrebbe evitare di far leggere o scrivere i ragazzi su supporti digitali anche perché studi scientifici hanno ampiamente dimostrato come nei primi anni di vita, l’accesso a pc, tablet e smartphone preclude la connessione neuro-cerebrale tra pensiero e manualità creando ritardi nello sviluppo del linguaggio, parlato e scritto».

Altri paesi se ne sono già resi conto? In Inghilterra, da pochi anni, molte scuole hanno reintegrato l'uso della penna stilografica, per costringere gli studenti a re-imparare la bella grafia, mentre in Francia gli istituti superiori sono tornati al dettato, visto che gli studenti non scrivevano più gli accenti sulle parole.

In Italia, le risorse le avremmo già, con molte associazioni di pedagogisti che da anni gridano nel deserto su questa tematica. Non occorre nemmeno ritornare all’abbecedario di collodiana memoria: esistono manuali moderni e accattivanti di calligrafia per bambini come, ad esempio, “Penne in pugno” di Monica Dengo (Giannino Stoppani editore) e vari altri.

A breve, questo recupero potrebbe diventare una vera necessità, anche considerando l’aumento dei casi di dislessia a scuola. Preoccupante l’allarme di Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell'età evolutiva: «La perdita del corsivo è alla base di molti Disturbi dell'Apprendimento segnalati dagli insegnanti della scuola primaria e che rendono difficile tutto il percorso scolastico. Scrivere in corsivo vuol dire tradurre il pensiero in parole, in unità semantiche, mentre scrivere in stampatello vuol dire invece sezionarlo in lettere, spezzettarlo, negare il tempo e il respiro della frase. Troppo spesso insegnanti e professori si accontentano di temi scritti in stampatello, e non hanno più né tempo né pazienza per insegnare la bella grafia».

Bisogna però ammettere che la petizione su Change è stata firmata anche da molti insegnanti “consapevoli” e fra questi il professore universitario Luciano Ragno, giornalista di lungo corso e divulgatore scientifico: «L'impegno a scrivere bene, in modo armonioso, aiuta a pensare a quello che si sta scrivendo. E si acquista quel garbo nella scrittura che purtroppo si è perduto».

Aggiunge la pedagogista Cristina Pendola: «Ecco, dunque, che rivalutare il corsivo non è né anacronistico, né innovativo: è semplicemente attuale e funzionale alla crescita armonica della persona. Il corsivo è moderno, semplice ed efficace, fatto per valorizzare la mano. Inoltre, dal punto di vista grafologico, il corsivo è personale e rivela l’identità di chi scrive, le sue attitudini, le potenzialità relazionali e affettive, rendendo gli scritti della persona un documento storico».

Questo è indubitabile, basti per esempio pensare a quegli epistolari antichi, oggi preziosi documenti di epoche passate, di sentimenti e vicissitudini che solo la carta può conservare, secondo l’antico adagio latino.

«Siamo lusingati – dichiara Carlo Di Clemente - che la nostra petizione sia stata accolta da personaggi della cultura e da tanti docenti. Inoltre, di recente non è mancata una interessante proposta rivolta alle Poste Italiane: mettere in circolazione un francobollo scontato solo per le lettere scritte manualmente. Per ottenerlo basterebbe affrancare la busta di fronte all’impiegato dell’ufficio postale, dopo avergli fatto brevemente controllare che si tratta di scrittura a mano».

Del resto, scrivere o ricevere una lettera “come gli antichi” è un piacere che in molti hanno perduto: cambia completamente l’atmosfera, si scrive di sentimenti autentici, di cose meno urgenti e soprattutto è pensata e creata per il destinatario dedicandogli tempo, attenzione, e anche qualche spicciolo. Un dono fatto col cuore, insomma.

Questo articolo è stato scritto a mano, solo successivamente ribattuto al computer. Non tanto per ripercorrere nostalgicamente il modus operandi dei nostri colleghi ottocenteschi, quanto per trattare con un po’ di coerenza un tema sollevato da una recentissima petizione al Ministero dell’Istruzione che, in pochi giorni, ha raccolto migliaia di firme: “Promuoviamo la bellezza della scrittura a mano” .

Lanciata (in vista di una tormentata riapertura delle scuole) dall’archeologo e scrittore Carlo Di Clemente insieme al blogger Stefano Molini, chiede al ministro Lucia Azzolina e agli insegnanti di ogni ordine e grado il massimo impegno affinché i ragazzi tornino a esercitarsi nel corsivo. Come auto-constatato amaramente dallo scrivente, infatti, una calligrafia elegante è una di quelle cose che, o si imparano bene da piccoli, o diventa difficile, poi, rimettere a punto.

Ma qui non si tratta solo di una questione estetica (e di rispetto verso l’insegnante che deve correggere i compiti) bensì dello sviluppo cognitivo dei nostri bambini, della prevenzione della dislessia, di un prezioso patrimonio educativo e di una capacità umana antica di 5000 anni che stiamo irrimediabilmente perdendo.

Dai piccoli allievi degli scribi sumeri, fino alla scuola degli anni ’60, bambini e ragazzi si sono sempre applicati allo studio della bella scrittura. La gran parte dei nostri lettori con la chioma d’argento ricorderà l’”ora di calligrafia” inserita fra le materie di studio. Stando a varie testimonianze, era un momento piacevole, di silenziosa e rilassante applicazione, con lunghe file di lettere corsive minuscole e maiuscole tracciate sul quaderno, perfino la barocchissima ”H” che in pochi ricordano oggi come si disegni.

Poi venne il ’68, la contestazione, e l’ora di calligrafia fu relegata in soffitta fra tutti quegli strumenti educativi ritenuti “mortificanti della libera espressione creativa”. Tuttavia, confrontando i temini scolastici dei ragazzi di oggi con quelli dei loro nonni, l’unica differenza apprezzabile è che i primi sono mediamente meno leggibili e più disordinati. Non si può non rimanere ammirati, invece, leggendo lettere o diari vergati un secolo fa: una precisione e una pulizia quasi tipografiche. Non è un caso che oggi, a scuola, i pochi insegnanti che ancora fanno scrivere a mano, soprattutto dopo il colpo di grazia fornito dalla Didattica a distanza, pretendano lo stampatello.

Nulla di paragonabile, tuttavia, al corsivo, uno stile grafico tramandato (nella sua forma attuale) fin dal ‘500 e pensato per la penna d’oca, ma ancor oggi perfettamente funzionale a scrivere con continuità, coerenza e fluidità. Sarebbe più consigliabile utilizzare la stilografica, dato che possiede parte dell’elasticità del pennino antico, ma anche la biro va benissimo: è infatti uno stile che si confà particolarmente ai bambini, riproducendo quegli spontanei movimenti della mano che vediamo nei loro scarabocchi: onde, cerchi e ghirigori.

«Per questo è assolutamente vitale – spiega il noto pedagogista Daniele Novara – ribaltare il concetto che si è sedimentato oggi della scrittura a mano. Non è un optional, rispetto a quella digitale, ma esattamente l’opposto. Non c’è nulla che possa prendere il suo posto per lo sviluppo di quelle capacità neuromotorie di cui i bambini di oggi hanno estremo bisogno. In tutto il mondo occidentale i genitori sono diventati iper-protettivi, ma soprattutto in Italia: abbiamo bambini, fortemente sedentarizzati, che non sanno allacciarsi le scarpe, altri che non sanno lavarsi i denti da soli e in molti, in troppi, fanno colazione col biberon fino all’età scolare. Quindi, la battaglia, prima che per la bella calligrafia deve essere proprio per la scrittura a mano: la scuola dovrebbe evitare di far leggere o scrivere i ragazzi su supporti digitali anche perché studi scientifici hanno ampiamente dimostrato come nei primi anni di vita, l’accesso a pc, tablet e smartphone preclude la connessione neuro-cerebrale tra pensiero e manualità creando ritardi nello sviluppo del linguaggio, parlato e scritto».

Altri paesi se ne sono già resi conto? In Inghilterra, da pochi anni, molte scuole hanno reintegrato l'uso della penna stilografica, per costringere gli studenti a re-imparare la bella grafia, mentre in Francia gli istituti superiori sono tornati al dettato, visto che gli studenti non scrivevano più gli accenti sulle parole.

In Italia, le risorse le avremmo già, con molte associazioni di pedagogisti che da anni gridano nel deserto su questa tematica. Non occorre nemmeno ritornare all’abbecedario di collodiana memoria: esistono manuali moderni e accattivanti di calligrafia per bambini come, ad esempio, “Penne in pugno” di Monica Dengo (Giannino Stoppani editore) e vari altri.

A breve, questo recupero potrebbe diventare una vera necessità, anche considerando l’aumento dei casi di dislessia a scuola. Preoccupante l’allarme di Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell'età evolutiva: «La perdita del corsivo è alla base di molti Disturbi dell'Apprendimento segnalati dagli insegnanti della scuola primaria e che rendono difficile tutto il percorso scolastico. Scrivere in corsivo vuol dire tradurre il pensiero in parole, in unità semantiche, mentre scrivere in stampatello vuol dire invece sezionarlo in lettere, spezzettarlo, negare il tempo e il respiro della frase. Troppo spesso insegnanti e professori si accontentano di temi scritti in stampatello, e non hanno più né tempo né pazienza per insegnare la bella grafia».

Bisogna però ammettere che la petizione su Change è stata firmata anche da molti insegnanti “consapevoli” e fra questi il professore universitario Luciano Ragno, giornalista di lungo corso e divulgatore scientifico: «L'impegno a scrivere bene, in modo armonioso, aiuta a pensare a quello che si sta scrivendo. E si acquista quel garbo nella scrittura che purtroppo si è perduto».

Aggiunge la pedagogista Cristina Pendola: «Ecco, dunque, che rivalutare il corsivo non è né anacronistico, né innovativo: è semplicemente attuale e funzionale alla crescita armonica della persona. Il corsivo è moderno, semplice ed efficace, fatto per valorizzare la mano. Inoltre, dal punto di vista grafologico, il corsivo è personale e rivela l’identità di chi scrive, le sue attitudini, le potenzialità relazionali e affettive, rendendo gli scritti della persona un documento storico».

Questo è indubitabile, basti per esempio pensare a quegli epistolari antichi, oggi preziosi documenti di epoche passate, di sentimenti e vicissitudini che solo la carta può conservare, secondo l’antico adagio latino.

«Siamo lusingati – dichiara Carlo Di Clemente - che la nostra petizione sia stata accolta da personaggi della cultura e da tanti docenti. Inoltre, di recente non è mancata una interessante proposta rivolta alle Poste Italiane: mettere in circolazione un francobollo scontato solo per le lettere scritte manualmente. Per ottenerlo basterebbe affrancare la busta di fronte all’impiegato dell’ufficio postale, dopo avergli fatto brevemente controllare che si tratta di scrittura a mano».

Del resto, scrivere o ricevere una lettera “come gli antichi” è un piacere che in molti hanno perduto: cambia completamente l’atmosfera, si scrive di sentimenti autentici, di cose meno urgenti e soprattutto è pensata e creata per il destinatario dedicandogli tempo, attenzione, e anche qualche spicciolo. Un dono fatto col cuore, insomma.