Il neonato piange nella culla. Non può parlare per dirci se sta male e quanto. Da tempo i ricercatori sono al lavoro per stabilire una metodica oggettiva di misurazione del dolore per arrivare ad uno strumento capace di valutare quanto il piccolo stia soffrendo. In alcuni casi, infatti, può non essere sufficiente ricorrere alle strategie utilizzare da sempre dai pediatri nella pratica clinica; si pensi a procedure mediche o alle cure neonatali intensive, a volte dolorose, per quali occorre anche stabilire se e quanto analgesico somministrare ai bambini.
Una nuova tecnica non invasiva permette ai clinici di misurare con un EEG il dolore nei neonati per ridurre al minimo il dolore durante le procedure pediatriche (Crediti: Department of Paediatrics, Medical Science Division, University of Oxford)
Guardare al tracciato dell’elettroencefalogramma
Un gruppo di ricerca britannico, guidato da Rebecca Slater del dipartimento di neuroscienze cliniche dell’Università di Oxford, attraverso metodiche non invasive che permettono di registrare l’attività cerebrale del bambino, ha messo a punto un metodo per stabilire l’intensità della percezione dolorosa. In modo del tutto simile all’indagatore che risale all’identità del colpevole attraverso un esame calligrafico, la neuroscienziata ha utilizzato il tracciato di un elettroencefalogramma (EEG) per arrivare all’intensità del dolore percepito dai bambini. Analizzando l’attivazione elettrica del loro cervello quando sottoposti a stimoli di diversa natura (visiva, acustica, tattile), i ricercatori hanno identificato le attivazioni neurali tipiche del dolore, che si differenziano da quelle relative ad altri tipi di stimoli, come la visione di luci lampeggianti, la percezione di delicati tocchi sulla pelle o di un rumore forte.
La «firma» del dolore
Lo studio, apparso sulla rivista Science Translational Medicine, comprende uno studio pilota, condotto su 18 neonati sottoposti a una procedura di prelievo ematico dal tallone (di routine nei pretermine) e la validazione dei risultati su altri 72 soggetti, per un totale di cinque studi complessivi, uno dei quali ha anche indagato la modulazione del segnale cerebrale del dolore ad opera dell’anestetico. I modelli di attivazione neurale identificati – la «firma» del dolore - hanno dimostrato anche una elevata sensibilità (a basso rischio di falsi negativi) e specificità (a basso rischio di falsi positivi): una sensibilità del 64% con una specificità del 65% per il dolore associato alla puntura e una sensibilità del 57% con un 68% di specificità per uno stimolo a bassa intensità.
Verso un metodo di misurazione del dolore
«I nostri risultati potrebbero potenzialmente costituire il primo passo verso lo sviluppo di uno strumento convalidato che possa essere utile per la valutazione del dolore nei singoli soggetti» scrivono gli autori, che ammettono la necessità di ulteriori studi: «nella forma attuale il modello non può essere utilizzato a questo scopo».
Con ulteriori validazioni, però, questo metodo potrebbe essere utile per testare la sofferenza e l’efficacia analgesica di una sostanza in chi ancora non può parlare.
@nicla_panciera
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