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Un piatto di orecchiette d’orzo ricco di beta-glucano, con rape e cavolo condite con olio extravergine d’oliva ad alto contenuto di polifenoli: ecco il piatto funzionale per eccellenza secondo Vincenzo Lionetti, professore associato di anestesiologia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

Lionetti è promotore della ristoceutica, una nuova linea di ricerca che vuole utilizzare le più recenti conoscenze di biotecnologia per creare un pasto funzionale, ovvero un’associazione di diversi alimenti funzionali, simbiotici, che potrebbero migliorare lo stato di salute dell’uomo grazie al loro contenuto di composti biologicamente attivi.

«La ristoceutica è la coniugazione della nutrizione con la farmaceutica, un dialogo tra l’epigenetica e la ristorazione. Il pasto diventa funzionale, poiché dovrebbe essere il risultato dello studio delle interazioni tra i vari alimenti, che modificano la nostra componente genetica» commenta il professore da Pisa, che spiega come negli ultimi anni si stiano rivelando sempre più importanti due fattori nell’insorgenza delle malattie cardiovascolari: lo stress ossidativo e l’infiammazione cronica.

I meccanismi ovviamente, nello specifico delle singole patologie, sono diversi, ma l’infiammazione cronica è alla base di tutti questi e quello che si è visto è che l’alimentazione può realmente influire nella prevenzione di queste patologie.

Come per la medicina di precisione, che si basa sull’idea che ciò che funziona per un individuo, non è detto che sia efficace per un altro, così funziona la ristoceutica: il nostro DNA è unico e, come è ormai ampiamente dimostrato, il cibo ha un ruolo importante sulla salute e sulla longevità.

«Conoscendo il meccanismo dei costitutenti del cibo sull’epigenoma, si può ambire alla creazione di una dieta simbiotica tra animali terra e uomo. Per ovviare anche al consumo eccessivo di carne animale e avere un approccio più sostenibile alle risorse della terra» prosegue Lionetti.

I componenti, e i loro metaboliti, del cibo stanno emergendo sempre più come regolatori principali di quello che chiamiamo epigenoma, che costituisce l’insieme delle istruzioni che regolano il funzionamento del genoma, una sorta di interruttore che spegne e accende i geni in base alle sollecitazioni dell’ambiente (interno e esterno) e orchestra il normale sviluppo del corpo.

A livello più meccanicistico, l’epigenetica si occupa di quegli agenti, chiamati appunto epigenetici, responsabili di cambiamenti chimici del DNA, degli istoni e di altri elementi chiave della nostra espressione genica quali i cosiddetti miRNA e lncRNA, e che dicono alla cellula quali geni devono essere attivati, per quanto tempo e in quale specifico momento della vita. Sono modifiche epigenetiche per esempio la metilazione del DNA (l’aggiunta di gruppi metilici alle basi di citosina) o il trasferimento di un gruppo acetile sugli istoni (proteine che legano il DNA).

«I meccanismi regolatori che vanno sotto il nome di epigenetica stanno emergendo come un promettente approccio per un impatto sul destino cellulare e la funzione nel cuore umano», spiega Lionetti «e le reazioni che possono alterare l’espressione genica sembrano essere modulate anche dall’ambiente edibile, cioè il cibo. Così il piatto di orzo al dente, con cavolo cotto al vapore e olio extravergine d’oliva diventano un piatto funzionale poiché i suoi costituenti hanno una azione cardioprotettiva agendo sulle deacetilasi istoniche».

Il beta-glucano d’orzo, i sulforafani di broccoli e cavoli, i polifenoli presenti nell’olio extravergine d’oliva, del cacao, delle mele, del pomodoro nero, gli omega-3 e 6 del pesce azzurro o delle noci, le antocianine nell’uva nera e nelle melanzane, l’acido lipoico del grano, mediano reazioni chimiche dose-dipendenti a livello del DNA e degli istoni, che favoriscono l’espressione di geni protettivi negli organi vitali, come il cuore.

E’ interessante la notizia che recentemente la Food and Drug Administration negli Stati Uniti ha messo nella lista delle medicine l’olio extravergine, in qualità di anti infiammatorio per il suo alto contenuto di acido oleico che inibisce l’enzima DNA metiltrasferasi.

Ovviamente si tratta di un approccio più complesso di quanto sembri. «Bisogna tenere conto di molti fattori: l’aderenza alla dieta, lo stile di vita, l’interazione tra i farmaci e le sostanze nutritive. La sfida in termini di costituenti alimentari, la loro concentrazione, la solubilità, la bioconversione, i metaboliti, i tempi di assunzione riguarda un’attenta valutazione nel contesto della salute cardiovascolare.

«Al fine di valutare l’impatto delle diverse combinazioni alimentari sulle malattie cardiovascolari e di definire le priorità per l’intervento e la prevenzione, è fondamentale determinare le relazioni di causa-effetto e le connessioni con l’epigenoma» conclude Lionetti.