Una cura definitiva ancora non esiste, ma la sclerosi multipla vive un’epoca di numerose opzioni terapeutiche e la ricerca di nuove soluzioni è frenetica. La speranza è di arrivare a trattamenti personalizzati perché la sclerosi multipla è una malattia molto eterogenea, sia dal punto di vista clinico che dal punto di vista della risposta ai trattamenti.
Al settimo Congresso Congiunto dei Comitati Europeo e Americano per la Terapia e la Ricerca sulla Sclerosi Multipla (ECTRIMS-ACTRIMS), appena conclusosi a Parigi, si è parlato degli ultimi risultati della ricerca clinica e di base.
«Un’edizione al massimo storico di partecipazione, fatto che dimostra come questa sia un’area molto attiva e in forte avanzamento» ci ha detto la presidente eletta di Ectrims, Catherine Lubetzki dell’ospedale Pitié-Salpêtrière di Parigi, illustrandoci i temi principali all’attenzione degli esperti: «La patogenesi, le tecniche di neuroimaging per studiare e diagnosticare la malattia, il coinvolgimento della materia grigia nella progressione della malattia, i trattamenti farmacologici e non, e i recenti studi di neuroriparazione e neuroprotezione per rallentare la degenerazione degli assoni».
CHE COS A SI INTENDE PER SCLEROSI MULTIPLA
La sclerosi multipla (SM) è una malattia autoimmune del sistema nervoso centrale che interessa in Italia più di 100.000 pazienti, di cui 10mila pediatrici. Il sistema immunitario colpisce la guaina mielinica che riveste le fibre nervose del sistema nervoso centrale – gli assoni dell’encefalo e del midollo spinale – su cui corrono gli impulsi elettrici prodotti dai neuroni. La demielinizzazione causa una difficoltà nella trasmissione del segnale elettrico che determina dei deficit che inizialmente possono regredire. A questa fase, prevalentemente infiammatoria e per la quale esistono già delle opzioni terapeutiche, può seguire una fase cosiddetta progressiva, che è supportata da diversi meccanismi fisiopatologici di tipo prevalentemente degenerativo: il progressivo danno assonale porta ad una perdita neuronale fino anche ad un 39% del totale. Per questa fase esistono scarse risorse terapeutiche. Con l’avanzamento delle conoscenze, si sta facendo avanti una visione unitaria della malattia che contempli tanto l’infiammazione quanto la neurodegenerazione.
IL PASSAGGIO DALLA FASE ACUTA A QUELLA CRONICA
«Quanto ancora manca - spiega la Lubetzki – è una profonda comprensione dei meccanismi di progressione della malattia». Proprio qui, nella biologia della sclerosi multipla, si concentrano gli sforzi degli scienziati intenti a rispondere agli interrogativi più pressanti. Ormai sembra chiaro che le lesioni alla sostanza grigia e la demielinizzazione sono processi indipendenti. Ma quale relazione c’è tra la perdita neurale e il processo di demielinizzazione? Che cosa provoca il passaggio dalla fase acuta a quella cronica della malattia? In che modo l’infiammazione influenza la neurodegenerazione? Qual è il vero ruolo della microglia, cellule immunitarie che pattugliano il cervello alla ricerca di oggetti da rimuovere?
LA PROGRESSIONE DELLA MALATTIA
«La SM è una malattia complessa e due sono gli aspetti principali: la fase infiammatoria con l’accumulo di lesioni visibili alla risonanza magnetica e la fase progressiva, sottesa da meccanismi fisiopatologici diversi, di tipo prevalentemente degenerativo e caratterizzata da perdita assonale e atrofia cerebrale - ci ha spiegato il professor Patrick Vermersch dell’Università di Lille e membro del comitato organizzativo di Ectrims - È necessario agire il prima possibile per contrastare l’infiammazione e la demielinizzazione ed impedire l’accumulo di disabilità irreversibili. Nonostante i molti farmaci oggi a disposizione, e ancora di più sono quelli in via di sperimentazione, i bisogni non soddisfatti dei pazienti riguardano in particolare la progressione della malattia».
Inoltre, al momento della diagnosi, le lesioni rilevate dalla risonanza magnetica sono già numerose, spesso non collegate ad alcuna sintomatologia perché, grazie alla plasticità cerebrale, le aree intatte riescono a compensare i deficit causati dalle lesioni anche per lunghi periodi. La progressione della malattia però fa sì che ad un certo punto il danno accumulato sia tale da causare sintomi nei pazienti.
Di tutti i sottotipi della malattia, le forme più insidiose sono quelle progressive, caratterizzate da un continuo peggioramento. Fino al 65 per cento di coloro che vivono con una sclerosi multipla recidivante-remittente sono a rischio di sviluppare la forma secondariamente progressiva e il 15 per cento dei pazienti ha invece una diagnosi di MS primariamente progressiva fin da subito: «Con il passaggio alla fase progressiva della malattia perdiamo però la capacità di intervenire».
I TRATTAMENTI PIU’ UTILIZZATI
Al congresso, sono stati presentati i nuovi risultati delle terapie immunomodulanti. È il caso dell’anticorpo monoclonale ocrelizumab, che riduce in maniera significativa la percentuale di soggetti con sclerosi multipla recidivante che presentano una progressione della disabilità. Ocrelizumab colpisce selettivamente proprio una delle popolazioni di cellule del sistema immunitario che distruggono la mielina, i linfociti B, legandosi alle proteine CD20+, espresse sulla loro superfice.
«L’aver messo al centro della patogenesi della sclerosi multipla i linfociti B è stato un cambio di paradigma importante che risale ad una decina di anni fa, quando si capì che guardare solo ai linfociti T non era sufficiente» ha spiegato il professor Luca Massacesi, direttore della neurologia 2 del Careggi di Firenze e responsabile del centro di riferimento regionale per la SM.
LA FORMA RECIDIVANTE
Per la forma recidivante altamente attiva, sono stati presentati i risultati di una terapia immunosoppressiva, la cladribina, già utilizzata in ematologia e approvata dall’EMA lo scorso agosto. Il farmaco, la cui somministrazione è orale, ricostituisce selettivamente il sistema immunitario e si è dimostrato efficace negli indicatori chiave dell’attività di malattia. Due cicli di trattamento di 8-10 giorni l’anno, per due anni consecutivi, consentono di controllare la malattia nei due anni successivi senza il bisogno di alcun ulteriore trattamento.
«Un effetto a lungo termine che risolve un altro problema, quello delle ricadute e della progressione della malattia che fanno seguito ad ogni interruzione della terapia - ha spiegato il professor Vermesch - Per i pazienti con SM, infatti, vi è la necessità di cambiare spesso terapia a causa di risposte non ottimali, problemi di tolleranza e di sicurezza».
TRATTAMENTO CONCENTRATO ED EFFICACE
Per Giancarlo Comi dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano, «le evidenze ci diranno se il vantaggio va oltre i quattro anni, arco di tempo dello studio, ma i dati a disposizione ci dicono che è un trattamento concentrato nel tempo, pratico e dall’efficacia duratura, caratteristiche che lo rendono indicato per la terapia di induzione, che prospettiamo come modo di curare in futuro». La terapia di induzione consiste nel somministrare, come primo approccio fin dagli stadi iniziali, un potente immunosoppressore, nonostante gli effetti collaterali. Su questo approccio non c’è unanimità tra i medici e sono in molti a ritenere che nelle forme lievi di malattia una terapia incrementale, fatta di farmaci con meno effetti collaterali, sia comunque da preferire.
LA NEUROPROTEZIONE
Grande attenzione è oggi posta alla protezione dei neuroni e alla prevenzione del danno assonale. Sono stati presentati dati molto promettenti di una sperimentazione di fase II su un farmaco (ibudilast) in grado di ridurre l’atrofia cerebrale nella SM progressiva. «È un farmaco ad azione neuroprotettiva – ha commentato Comi - siamo veramente all’inizio, ma è importante vedere che si sta emergendo dal nulla». Il problema principale è che «conosciamo ancora troppo poco i meccanismi biologici alla base della neurodegenerazione, sia essa spontanea o indotta dall’infiammazione, per poter pensare di agire su di essa» ha commentato il professor Luca Massacesi. «Oggi, quello che possiamo fare è prevenire la demielinizzazione, e quindi la morte assonale, con farmaci antiinfiammatori da somministrare il più precocemente possibile».
RIPRISTINARE LA CORRETTA TRASMISSIONE DEI SEGNALI ELETTRICI
Favorire il processo di rimielinizzazione dei neuroni, per ripristinare la corretta trasmissione del segnale elettrico, è un altro obiettivo dei ricercatori. Gli studi, tutti in fase preclinica, cercano modi per stimolare la crescita degli oligodendrociti, cellule che nel sistema nervoso centrale producono la guaina mielinica. Quanto alla rigenerazione neuronale, allo stato attuale delle conoscenze, essa è altamente improbabile.
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