Scoperto il gene responsabile della cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro, una patologia che provoca l’arresto cardiaco anche nei giovani sotto i 35 anni. Una malattia genetica che ha colpito, tra gli altri, alcuni sportivi professionisti come Piermario Morosini, calciatore del Livorno deceduto nel 2012 durante una partita contro il Pescara.
In uno studio pubblicato sulla rivista specialistica Circulation: Cardiovascular Genetics i ricercatori hanno individuato la mutazione del gene CDH2, coinvolto nella produzione di una proteina fondamentale per l’adesione delle cellule cardiache, come la causa della cardiomiopatia. Una malattia in cui il tessuto cardiaco viene sostituito da quello adiposo e fibroso, provocando tachicardia e fibrillazione ventricolare, fino all’arresto cardiaco.
L’ANALISI GENETICA
Gli studiosi sudafricani sono arrivati a questo risultato dopo uno studio di anni su una famiglia affetta da questa patologia. In particolare hanno analizzato il caso di due persone, sequenziando il loro patrimonio genetico, per poter capire quale fosse la causa della malattia. Un lavoro a cui hanno collaborato anche gruppi di ricerca italiani dell’Istituto Auxologico italiano di Milano e dell’Università di Pavia.
Partendo da 13 mila varianti genetiche comuni ai due soggetti si è riusciti a individuare il gene CDH2. La conferma del risultato è arrivata con il riscontro di una seconda mutazione trovata in un individuo appartenente ad un’altra famiglia, ma affetto dalla stessa patologia.
L’IMPORTANZA DELLA SCOPERTA
Come ricorda l’Istituto Auxologico di Milano in Italia sono 50 mila le morti improvvise per arresto cardiaco: una buona parte delle quali imputabili alla cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro. L’importanza della scoperta risiede nella possibilità di diagnosticare precocemente la malattia anche nelle persone che non sanno di esserne affette.
«Sapere quale sia la causa genetica della malattia è un punto fondamentale per le famiglie che hanno un parente morto per un improvviso arresto cardiaco» ha sottolineato Guillaume Paré, uno degli autori della ricerca alla Michael G. DeGroote School of Medicine della McMaster University.
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