Nota e quasi temuta dagli specialisti, la sepsi è un’insidia che viaggia sotto traccia per i pazienti: poco consapevoli della sua gravità e della sua diffusione, tutt’altro che trascurabile.

Quella che è la prima causa di morte per infezione, da cui in realtà matura come la più grave delle complicanze, è infatti una condizione che ogni anno sottrae vita quattro volte di più rispetto tumore del colon, cinque volte di più dell’ ictus e fino a dieci volte di più rispetto all’infarto del miocardio. Considerazioni che, tradotte in numeri, rendono maggiormente l’idea. Sono settecentomila i nuovi casi che si registrano ogni anno in Europa, poco meno di un terzo soltanto in Italia.

«E la cosa più grave è che il pronto soccorso e i reparti chirurgici rappresentano il principale serbatoio di partenza dei focolai settici», afferma Antonio Corcione, direttore dell’unità operativa complessa di anestesia e rianimazione dell’ospedale Monaldi di Napoli e presidente dell’Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (Siaarti). Segno che la consapevolezza della sepsi non è ottimale nemmeno nel personale sanitario: se non come definizione, come collocazione sulla scala delle emergenze. «In queste strutture molto spesso il paziente giunge in condizioni critiche difficilmente reversibili».

NELLA GIORNATA MONDIALE LA SEPSI SI CONOSCE SUL TRENO

Di conseguenza, nella giornata mondiale dedicata alla sepsi, l’attenzione è puntata innanzitutto sulla consapevolezza. Non è un caso che la Siaarti, al fine di ridurre l’impatto della condizione, abbia deciso di battere in lungo e in largo il Paese. Gli anestesisti italiani lo faranno attraverso il mezzo più impiegato al giorno d’oggi: il treno ad alta velocità.

A bordo dei mezzi di Trenitalia sarà infatti distribuito un questionario ai passeggeri. Obiettivo: elaborare a livello nazionale una statistica sul grado di conoscenza della sepsi da parte della popolazione. I test verranno compilati alla presenza degli specialisti, che a seguire saranno disponibili ad arricchire il mosaico di conoscenza della malattia.

Il servizio sarà in vigore sulle tratte che vanno da Torino - dove domenica 17 settembre l’opera di sensibilizzazione proseguirà con una corsa non competitiva di sette chilometri - a Bologna. E da Napoli al capoluogo emiliano. «La sepsi grave e lo shock settico rappresentano un’emergenza medica, ma oggi la medicina ci mette a disposizione una serie di strumenti terapeutici efficaci - prosegue Corcione -. Fondamentale, però, è la diagnosi precoce, che permette di definire la migliore strategia terapeutica, da condurre necessariamente al di fuori delle terapie».

PERCHÉ LA SEPSI FA COSÌ PAURA

Volendo sgomberare il campo dai dubbi, perché la sepsi fa così paura? Corcione ricorda che trattasi di «una risposta anomala e disorganizzata dell’organismo a un infezione»: di natura batterica, virale, fungina o parassitaria. Come conseguenza, «il sistema immunitario, che dovrebbe combattere le infezioni, entra in uno stato di eccessiva attivazione e inizia ad attaccare l’organismo stesso».

Risultato? La progressiva compromissione dell’attività degli organi, provocata dalla risposta infiammatoria sistemica innescata dal passaggio dell’infezione da uno stadio localizzato a uno generalizzato. Quando sopraggiunge la morte, la causa è solitamente da ricercare nell’insufficienza d’organo multipla. A poco, in questo caso, serve l’armamentario terapeutico fatto di vaccini, antibiotici e farmaci per gestire le emergenze. Anzi: il fenomeno della resistenza agli antibiotici è una delle cause che ha impedito di circoscrivere il problema della sepsi. L’altro è dato dal progressivo invecchiamento della popolazione, dal momento che gli anziani, soprattutto se affetti al contempo da più malattie, risultano più fragili al cospetto delle infezioni. Al pari dei bambini.

VERSO TRATTAMENTI SEMPRE PIÙ PERSONALIZZATI

Come sospettare allora un presunto caso di sepsi? I sintomi, ricorda l’esperto, ricordano quelli di un’influenza: febbre, pallore, astenia, fiato corto. A instillare il sospetto può essere allora una ferita ricevuta involontariamente o a seguito di un intervento chirurgico recente: da cui potrebbe aver preso piede l’infezione. E, una volta avuta la conferma della diagnosi, come si interviene?

«La sepsi va trattata come un’emergenza: al pari di quanto accade di fronte a un trauma, a un ictus o a un infarto del miocardio - va dritto al punto Abele Donati, anestesista dell’azienda ospedaliero-universitaria di Ancona -. È difficile parlare di un trattamento standardizzato del paziente settico: ci si sta sempre più orientando verso terapie sempre più individualizzate». Il primo passo è dato dall’infusione intensiva di liquidi e dal monitoraggio continuo dei parametri vitali: soprattutto se il paziente è in shock settico, ovvero accompagnato anche da una bassa pressione sanguigna (che aumenta il rischio di morte). Gli antibiotici e il drenaggio di un’eventuale ferita infetta rappresentano il passo successivo. Guai a scherzare con la sepsi.

Twitter @fabioditodaro


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