Accedi

Registrati



Il 21 marzo non significa solo l’inizio della primavera. Il 21 è anche il numero del cromosoma in più che è alla base della sindrome di Down, quella che gli addetti ai lavori chiamano trisomia 21. Oggi è la loro giornata e il senso di questo appuntamento è riassunto dalla seguente frase “Quando tutti noi, non solo qualcuno di noi, avremo più opportunità a scuola, nel lavoro, nella vita sociale, solo allora avremo davvero dei motivi per festeggiare. Non lasciate indietro nessuno”. Ma la giornata di oggi è anche l’occasione per fare il punto della situazione sulla ricerca scientifica. Perché se dalla sindrome di Down non è possibile guarire, la poca ricerca che viene effettuata su questa malattia ci dice che in futuro sarà possibile ridurne l’impatto.

Che cos’è la sindrome di Down?

Segnalata per la prima volta nel 1866 da John Langdon Down -da cui prende il nome- la sindrome di Down è una condizione in cui tutte le cellule del corpo presentano tre copie del cromosoma 21 anziché due. Da un punto di vista clinico la sindrome si manifesta con un ritardo nella capacità cognitiva e nella crescita fisica e con particolari caratteristiche del viso e del corpo. Ma se lo scienziato inglese si limitò ad osservarne i tratti caratteristici, il legame tra quel cromosoma in più e lo sviluppo della sindrome avvenne solo nel 1959 grazie al genetista francese Jerome Lejeune. Secondo le statistiche la sindrome di Down è presenta in un bambino su 1200. Anche se manca un registro ufficiale alcune analisi indicano una crescente diminuzione di casi dovuti, in gran parte, al ricorso all’interruzione di gravidanza in seguito ai test di diagnosi prenatale.

Il “difetto” è nei neuroni

Una scoperta, quella del genetista francese, che in realtà non si ferma al solo cromosoma in più. Secondo Lejeune, «i geni sono simili a musicisti che leggono i loro spartiti». Se tutto va bene, tutti leggono alla stessa velocità e la sinfonia è perfetta. «Ma se c’è un musicista in più - prosegue -, come nel caso della trisomia 21, è come se quel musicista andasse troppo veloce. Non stravolge la musica, ma ne cambia il ritmo producendo una cacofonia». Ed è quello che, secondo Lejeune, succede nella sindrome di Down, dove le manifestazioni fisiche della malattia, soprattutto a livello neurologico, non sono altro che un eccesso di «musicisti che suonano la stessa musica a ritmi differenti». In particolare, secondo Lejeune, si sarebbe trattato di un’alterazione del metabolismo che causa un accumulo di sostanze con il risultato finale di intossicare i neuroni causando così la disabilità intellettiva.

E’ il metabolismo la chiave per capire la sindrome di Down

L’intuizione di Lejeune, impossibile da verificare all’epoca, oggi si è dimostrata corretta grazie alla ricerca. Da un lato con gli studi dell’italoamericana Diana Bianchi della Tufts University School of Medicine, dall’altro grazie al gruppo di ricerca del professor Pierluigi Strippoli dell’Università di Bologna. La prima è riuscita ad individuare che nei feti affetti da trisomia 21 c’è un eccessivo stress ossidativo, ovvero una produzione incontrollata di molecole tossiche che danneggiano le cellule. Il secondo, in un recente articolo pubblicato dalla rivista Scientific Reports in collaborazione con la professoressa Paola Turano dell’Università di Firenze, ha individuato per la prima volta nel sangue e nelle urine dei bambini con sindrome di Down un profilo metabolico caratteristico dei piccoli con trisomia 21 indipendentemente dalla loro età, sesso e stato di digiuno. Risultati in linea con quanto ipotizzato da Lejeune. Ma le novità non finiscono qui perché sempre il gruppo di ricerca bolognese ha pubblicato nell’aprile scorso su Frontiers in Genetics uno studio in cui viene presentata una mappa complessiva dell’attività dei geni nelle persone con sindrome di Down.

Tamponare l’effetto delle sostanze tossiche

I risultati ottenuti grazie alla ricerca -che indicano sempre più chiaramente la trisomia 21 come una malattia metabolica- rappresentano ora la base su cui lavorare per arrivare ad una «cura». Lejeune affermava: «Troveremo un trattamento. E’ uno sforzo intellettuale meno difficile che mandare un uomo sulla Luna». Il prossimo passo sarà quello di individuare le anomalie maggiormente responsabili della disabilità intellettiva per poterle correggerle a livello metabolico. Un modo per tamponare l’eccessiva produzione di sostanze tossiche per i neuroni e così ridurre il danno a livello cerebrale.

@danielebanfi83

Licenza Creative Commons