I dispositivi indossabili, di cui si parla da tempo, sono di grande interesse per la medicina di precisione. Finora hanno entusiasmato gli appassionati del fitness che se ne servono per il monitoraggio e la registrazione dell’attività svolta durante gli allenamenti. Ma allora perché non monitorare costantemente, h24, il nostro organismo per prevenire o perlomeno individuare tempestivamente segnali di allarme, indice della necessità di ulteriori approfondimenti medici?
Si può, come dimostra uno studio condotto alla scuola di medicina dell’Università di Stanford che rientra nella cosiddetta «medicina di precisione» con la quale si intende intervenire in modo personalizzato sul singolo soggetto sulla base delle cui caratteristiche si può agire per prevenire la comparsa della patologia o, quando essa è comunque non evitabile, per trattarla poi precocemente e nel modo più adeguato.
Lo studio è una chiara dimostrazione dell’utilità di avere a disposizione dei biosensori indossabili in grado di monitorare decine di parametri, dal battito cardiaco alla temperatura, indicativi di quanto sta accadendo nell’organismo, finanche l’esordio di una malattia di cui ancora non siamo consapevoli per mancanza di sintomi. L’idea di fondo è che, ottenuti per ogni parametro i valori di base fisiologici caratteristici di ciascun individuo tramite il monitoraggio iniziale, è poi possibile individuarne in tempo reale significative alterazioni, indici di potenziali condizioni patologiche da indagare.
Eventuali alterazioni dalla norma possono cioè essere correlate tramite appositi algoritmi con specifici disturbi, contribuendo alla diagnosi precoce ma anche alla ricerca clinica. Tenere in considerazione la variabilità individuale è un passo avanti verso la medicina di precisione: fin qui, infatti, la pratica consiste generalmente in misurazioni puntuali dei parametri, come la temperatura o la pressione, a casa o nel corso di una visita medica e questi valori sono considerati alterati rispetto ad un intervallo di valori medi, senza in realtà conoscere la situazione del singolo paziente.
E così i ricercatori, guidati dal professor Michael Snyder, direttore del Stanford Center for Genomics and Personalized Medicine, hanno reclutato 60 persone e hanno raccolto complessivamente 2 miliardi di misurazioni: ogni giorno 250mila valori sono stati restituiti dai dispositivi indossabili, fino ad un massimo di otto installati su ciascun soggetto, oltre a quelli risultanti dai test di laboratorio relativi agli esami del sangue, espressione genica e altri fattori. I dati raccolti riguardavano il peso, il battito cardiaco, l’ossigenazione del sangue, la temperatura; le attività svolte dai soggetti, le calorie bruciate e anche l’esposizione a raggi gamma e radiazioni X.
Sulla base di differenti misurazioni, dei livelli ematici di ossigeno, di glicemia o della proteina C reattiva, della temperatura, del battito cardiaco, è stato possibile individuare anche stati infiammatori e infettivi. I ricercatori hanno anche individuato delle variazioni regolari in corrispondenza delle attività fisiche svolte, degli orari (ritmi circadiani) e dell’ambiente (ad esempio, al cambiamento di quota coma durante i voli in aereo). Inoltre, proprio grazie ai valori letti dai biosensori che indicavano il mantenersi di una minor saturazione in ossigeno del sangue anche al termine di un volo aereo e la comparsa della febbre nelle ore successive ad una puntura di insetto avvenuta durante la sua permanenza nelle campagne del Massachusetts, lo stesso professor Snyder (anch’egli soggetto reclutato nello studio) si è auto-diagnosticato la malattia di Lyme, diagnosi confermata poi dalle analisi svolte una volta rientrato a casa.
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