Nell’ottica di poter garantirsi tanto la guarigione quanto una qualità di vita non oltremodo condizionata dalla malattia, il responso vale come un sospiro di sollievo, per i quasi tremila italiani che ogni anno s’ammalano di un tumore al testicolo. La chemioterapia postoperatoria, se limitata a un ciclo, non impatta in maniera significativa sulla quantità degli spermatozoi prodotti dall’unica ghiandola rimasta. Un aspetto che, guardando al contesto da lontano, può apparire secondario.
Ma trattandosi di una malattia di cui ci si ammala quasi sempre in giovane età, l’evidenza che emerge da uno studio pubblicato sulla rivista «Annals of Oncology» non è da trascurare. Ciò equivale a dire che un uomo in cura per superare quello che è il tumore solido più diffuso negli under 40 potrebbe con ogni probabilità pensare di allargare la famiglia, una volta completate le cure, in maniera naturale: senza necessariamente dover ricorrere al seme prelevato e conservato in un’apposita banca prima dell’inizio delle cure.
Gli effetti collaterali delle terapie
Su questo aspetto, il parere della comunità scientifica non è ancora unanime. Mentre è opinione condivisa che più cicli di chemio o radioterapia, una volta asportato un testicolo, possono compromettere anche irrimediabilmente la fertilità, non ci sono conclusioni definitive per chi s’è sottoposto (o informazioni da dare a chi vi si sottoporrà) a un unico ciclo di terapia farmacologica o radiante. Un accorgimento che viene adottato nei pazienti con una malattia localizzata alla ghiandola - già asportata chirurgicamente - al fine di ridurre il rischio di un’eventuale recidiva. In questo modo si riesce dunque a ridurre l’impatto della terapia farmacologica, cercando di ridurre al minimo l’eventualità di una ripresa della malattia. Ciò che non era chiaro, finora, era quale impatto questa scelta potesse avere sulla fertilità del paziente.
Lo studio in questione ha fornito una risposta rassicurante. «Indipendentemente dal trattamento somministrato, abbiamo verificato che la scelta di sottoporre o meno un paziente alla chemioterapia non determina ricadute sulla conta spermatica totale e sulla concentrazione degli spermatozoi», afferma Kristina Weibring, oncologa del Karolinska Hospital di Stoccolma e prima firma della ricerca, a cui hanno preso parte 182 uomini (18-50 anni) sottoposti tra il 2001 e il 2006 a una orchiectomia (l’asportazione chirurgica del testicolo) e poi curati in vario modo: con la chemioterapia, con la radioterapia e senza ulteriori trattamenti postoperatori.
Rassicurazioni per i pazienti
I ricercatori hanno prelevato il loro liquido seminale subito dopo l’intervento e, a seguire, sei mesi, uno, due, tre e cinque anni dopo. I risultati hanno dimostrato che la qualità dello sperma è rimasta nel tempo inalterata: indipendentemente dalla strategia terapeutica adottata.
«Con questi risultati possiamo fornire maggiori informazioni ai pazienti relativamente ai potenziali effetti collaterali delle cure oncologiche - prosegue l’esperta -. I pazienti colpiti da un tumore al testicolo sono spesso uomini giovani, che una volta superata la malattia hanno il desiderio di mettere su famiglia».
Le conclusioni dello studio sono per loro rassicuranti, anche se serviranno comunque ulteriori riscontri. Oltre a dover tener conto che ogni caso clinico fa storia a sé. Si tratta a ogni modo di evidenze preliminari, che al momento non scalfiscono quella che è la prassi nella pratica clinica: la conservazione del seme in una biobanca, al quale ricorrere nel caso in cui il paziente non dovesse riuscire ad avere naturalmente un figlio con la propria compagna.
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