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Con quasi 35 mila diagnosi nuove all’anno il tumore alla prostata è la neoplasia più diffusa nell’universo maschile. Anche se negli ultimi anni le cure hanno fatto passi avanti da gigante, uno dei principali problemi di quando la malattia presenta metastasi ossee è la qualità di vita.

Secondo un’indagine condotta dalla Fondazione ISTUD e presentata al XIX Congresso Nazionale AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) da poco svoltosi a Roma, la metà delle persone in questa condizione non riesce più a svolgere i gesti quotidiani più semplici. Fortunatamente però una nuova classe di radio-farmaci è finalmente in grado di migliorare sensibilmente sia la qualità sia l’aspettativa di vita.

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Con un tumore alla prostata oggi maggiori probabilità di sopravvivenza

«Il tumore della prostata -spiega Carmine Pinto, presidente dell’AIOM- è la a neoplasia più frequente tra gli uomini, rappresentando oltre il 20% di tutti i tumori diagnosticati negli over 50, ma anche quella caratterizzata da una elevata eterogeneità clinica, oscillando fra forme a bassa aggressività e forme clinicamente importanti».

A dispetto dell’elevato numero di nuove diagnosi la mortalità è relativamente bassa, merito di terapie e più in generale di approcci alla malattia sempre più mirati. «Non è un caso che oltre il 90% dei pazienti con diagnosi di tumore sia vivo a 5 anni di distanza dalla scoperta del tumore» precisa l’esperto.

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La qualità di vita peggiora a causa delle metastasi ossee

Purtroppo quando il tumore viene scoperto in fase avanzata una delle principali problematiche è rappresentata dalle metastasi ossee. Secondo gli ultimi dati disponibili si calcola che circa l’80-90% delle persone in queste condizioni sviluppino principalmente metastasi proprio a livello dell’apparato scheletrico. Una caratteristica tipica che può riflettersi negativamente sulla qualità di vita delle persone. Secondo quanto emerso dalla ricerca della Fondazione ISTUD l’impatto del tumore della prostata metastatico sulla quotidianità dei pazienti che sviluppano sintomi correlati alla malattia può essere importante. In alcuni casi infatti si arriva a non dormire o a non camminare per il dolore. Più precisamente emerge che il 62% avverte il bisogno di stare a letto o su una sedia per alcune ore del giorno, il 52% ha difficoltà nel fare anche solo una breve passeggiata fuori casa, il 78% non è in grado di svolgere attività faticose o di portare oggetti pesanti come la busta della spesa. Il dolore, in particolare alle ossa, rappresenta uno dei sintomi debilitanti per questi malati: il 61% di chi sviluppa metastasi ossee è colpito da questo disturbo che nel 50% è tale da impedire di svolgere semplici attività quotidiane (l’85% afferma infatti di sentirsi debole).

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Migliorare con i radio-farmaci

In questi casi la strategia migliore è quella di ritardare il più possibile le complicanze a carico delle ossa. Da qualche tempo grazie alla ricerca sono stati sviluppati nuovi farmaci capaci di agire in maniera selettiva sulle metastasi ossee. Uno di questi è un radio-farmaco, Radium-223 dicloruro (Ra-223). Si tratta di una molecola capace di rilasciare particelle radioattive direttamente a livello delle metastasi. A differenza della radioterapia classica infatti la somministrazione delle radiazioni avviene dall’interno e non dall’esterno.

«Il farmaco in questione -spiega Sergio Bracarda, Direttore dell’Oncologia Medica di Arezzo e del Dipartimento Oncologico dell’Azienda USL Toscana SUDEST- può migliorare la sopravvivenza globale nei pazienti con lesioni ossee dolenti ed emettendo radiazioni alfa, rispetto ad altre terapie, non provoca danni evidenti al midollo osseo che possano condizionare l’ulteriore strategia terapeutica, migliora in modo significativo la qualità della vita anche attraverso un buon controllo del dolore osseo eventualmente presente».

Miglioramento che si rileva anche dalla percezione dei pazienti coinvolti nello studio ISTUD: Il 78% di essi ha giudicato positivamente il trattamento con questa nuova classe di radiofarmaci, in particolare la migliore gestione del dolore (48%) e il fatto di avere più energie (33%).

Cure più precise con l’analisi del Dna del tumore

Nonostante gli importanti progressi fatti c’è comunque ancora molta strada da fare. Come fu per la mammella, più andiamo avanti e più scopriamo che esistono moltissime tipologie differenti di tumore alla prostata. La vera sfida futura sarà quella di riuscire ad abbinare in maniera sempre più dettagliata la sintomatologia al profilo genetico della malattia. Solo così riusciremo a curare in maniera sempre più su misura di paziente selezionando sin da subito la cura migliore» conclude Pinto.

@danielebanfi83

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