Oggi sempre più malati di tumore traggono beneficio dall’immunoterapia. Se in principio fu per il melanoma ora la lista delle neoplasie che possono essere affrontate con l’ausilio dei farmaci immunoterapici continua ad allungarsi. Ed è questo il caso del tumore al polmone e in particolare quello metastatico non a piccole cellule (NSCLC), il più diffuso tra quelli a quest’organo.
In uno studio presentato in queste ore al congresso annuale dell’American Association for Cancer Research (AACR) –e contemporaneamente pubblicato dal New England Journal of Medicine- emerge che la combinazione di un immunoterapico (pembrolizumab) in associazione alla chemioterapia standard migliora significativamente la sopravvivenza e riduce del 51% il rischio di morte rispetto alla sola chemioterapia. Questo indipendentemente dal fatto che il tumore esprima alcune caratteristiche che sino ad oggi sono servite per scegliere a quali persone somministrare il solo immunoterapico.
Immunoterapia: una svolta nel trattamento dei tumori
L’idea di fondo che caratterizza l’immunoterapia è quella di sfruttare l’innata capacità del sistema immunitario nel riconoscere il cancro. Mentre fisiologicamente nel tempo questa risposta va esaurendosi, grazie all’utilizzo di farmaci a base di anticorpi somministrati dall’esterno è possibile mantenerla sempre attiva. A fare da apripista all’immunoterapia è stato il melanoma, un tumore che quando era in metastasi lasciava poche speranze. Dal 2010 –anno dell’immissione sul mercato del primo farmaco immunoterapico- ad oggi è stato un susseguirsi di approvazioni e anche per il tumore al polmone questo approccio è stato sdoganato.
Pembrolizumab come prima scelta per il cancro del polmone
Che l’immunoterapia abbia migliorato sensibilmente il trattamento del tumore al polmone non è una novità. Lo scorso luglio AIFA ha infatti deciso che l’anticorpo pembrolizumab poteva essere somministrato come prima linea -ovvero come prima scelta di trattamento- in quelle persone affette da carcinoma polmonare non a piccole cellule aventi alti livelli del marcatore PD-L1. Una vera e propria rivoluzione se si pensa che sino a quel momento il farmaco in questione poteva essere somministrato solo quando la chemioterapia classica non aveva effetti (somministrazione in seconda linea).
Immunoterapia e chemioterapia si potenziano a vicenda
Lo studio presentato ora al congresso AACR aggiunge però un tassello significativo che vede nella combinazione immunoterapia più chemioterapia una svolta: «I dati di questo importante studio, a cui l’Italia ha offerto un grande contributo, dimostrano che la sopravvivenza globale dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule metastatico aumenta moltissimo con la combinazione pembrolizumab più chemioterapia in prima linea di trattamento – spiega la dottoressa Marina Garassino, responsabile della Struttura Semplice di Oncologia Medica Toraco Polmonare presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale di Tumori di Milano-. Questi risultati infatti hanno determinato la chiusura anticipata dell’analisi dello studio. Il trattamento immunoterapico con pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia determina un effetto sinergico antitumorale attraverso il potenziamento della risposta immunitaria verso il tumore».
In particolare lo studio dimostra un miglioramento del tasso di risposta, della sopravvivenza libera da progressione e della sopravvivenza globale in tutti i gruppi di pazienti dimezzando il rischio di morte, effetto senza precedenti nella terapia di prima linea per questo tipo di tumore
La combinazione funziona indipendentemente dall’espressione di PD-L1
Ma lo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine aggiunge anche un’altra importante informazione che potrebbe cambiare la pratica clinica del trattamento di questa malattia.
«Pembrolizumab oggi può essere somministrato in monoterapia in prima e in seconda linea solo nei pazienti il cui tumore esprime un biomarcatore, PD-L1. Lo studio dimostra che tutti i pazienti con questo tipo di tumore beneficiano della combinazione di pembrolizumab e chemioterapia in prima linea di trattamento, indipendentemente dall’espressione di PD-L1. Resta fondamentale la determinazione dell’espressione di PD-L1 al momento della diagnosi per decidere la strategia ottimale di trattamento di ciascun paziente» conclude la Garassino.
@danielebanfi83
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