L’apnea ostruttiva del sonno, una condizione spesso individuata con l’acronimo inglese OSAS (Obstructive Sleep Apnea Syndrome) si caratterizza per l’interruzione parziale o totale del flusso aereo delle vie respiratorie superiori durante il sonno.
Si assiste a un vero e proprio collasso che impedisce il normale passaggio dell’aria: la respirazione si blocca per un tempo compreso fra 10 secondi e un minuto, fino a quando al cervello non arriva il segnale di mancata ossigenazione e invia di conseguenza un segnale di sveglia. Chi ne soffre si desta, quasi inconsciamente, riprende la respirazione e torna a dormire.
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Questo schema può ripetersi parecchie volte durante la notte, con il risultato di un sonno molto frammentato. Al risveglio ci si sente stanchi come se non si avesse dormito. «Le OSAS si caratterizzano per la presenza di sintomi notturni e diurni. I primi consistono nella comparsa durante il sonno di ripetuti episodi di ostruzione parziale o completa delle prime vie aeree, con conseguenti disturbi respiratori e ripercussioni sull’ossigenazione del sangue. Ecco perché in molti casi compare russamento; il paziente può essere consapevole del disturbo, ma più spesso a segnalarlo è il partner. I sintomi diurni, sono legati al fatto che il sonno è disturbato e insufficiente, ecco perché compare sonnolenza diurna a volte con fenomeni di addormentamento, per esempio durante la guida di autoveicoli, calo delle prestazioni mentali con disturbi della memoria, depressione dell’umore e irritabilità» spiega Leonardo Cocito Professore Associato di Neurologia dell’Università di Genova, responsabile del «Centro di Fisiopatologia del Sonno», Ospedale Policlinico San Martino, Genova.
Un disturbo sottostimato
Si stima che il disturbo abbia una prevalenza fra il 9 e il 24% fra le persone di età compresa fra i 30 e i 60 anni, che colpisca 936 milioni di persone nel mondo e che solo in Italia, il 90% circa dei pazienti effettivamente affetti dalla condizione non sappiano di soffrirne e non vengano di conseguenza, neppure curati. La condizione è rinvenibile in circa la metà dei soggetti obesi, compare in percentuali comprese tra il 40 e il 50% fra chi è affetto da una qualsiasi patologia cardiaca e colpisce oltre il 70-80% dei pazienti diabetici; mette seriamente a rischio l’efficienza lavorativa a causa della sonnolenza diurna che provoca e ha importanti ripercussioni di salute.
OSAS e memoria semantica
Uno studio recente ha insistito proprio sul rapporto fra OSAS e possibile sviluppo di disturbi delle funzioni cognitive . Gli autori di questo lavoro di ricerca sono andati a esaminare in che modo la condizione influenzasse la cosiddetta memoria autobiografica, quella cioè che permette di ricordare le proprie esperienze di vita.
Nello specifico gli studiosi hanno valutato la relazione fra pazienti con OSAS non trattata e qualità della loro memoria semantica, quella che permette di ricordare per esempio, i nomi dei propri compagni di scuola e quella episodica, che permette di ricordare per esempio, il primo giorno di scuola.
«La memoria semantica, come dice il termine indica la memoria operativa che pone in rapporto un simbolo (o significante o semeion) con il significato, o concetto, elemento, rappresentata dal simbolo. Perdere la memoria semantica o comunque danni a questo tipo di memoria, si traduce in un impoverimento della rappresentazione concettuale, del significato delle parole, per estrapolazione estesa, delle astrazioni.- Chiarisce Marco Onofrj, direttore della Clinica Neurologica dell’Ospedale Clinicizzato di Chieti che ammonisce- La memoria semantica può essere alterata, moderatamente, dalla carbonarcosi determinata dall’OSAS. La scarsa introduzione di ossigeno con la respirazione, cioè, può innalzare pericolosamente i livelli di anidride carbonica circolante che con il tempo, possono danneggiare anche la memoria semantica».
Aggiunge il professor Cocito: «La memoria semantica si identifica in generale con la memoria delle nozioni scolastiche e con il patrimonio culturale: che tipo di animale è un cavallo? Quali sono state le cause della prima guerra mondiale? Che cosa sono i logaritmi? Nozioni di questo tipo, dunque. Alla memoria semantica si contrappone la memoria episodica, che è quella per eventi con una specifica connotazione di tempo e luogo: Che cosa ho mangiato ieri sera? Dove ho parcheggiato la macchina? La memoria autobiografica, cioè la memoria per gli eventi importanti della propria vita, si colloca un po’ in mezzo: in teoria, dovrebbe essere più vicina a quella episodica, anche se la rilevanza degli “episodi” stessi la fa per così dire “transitare” verso la memoria semantica. In generale la memoria episodica è quella più vulnerabile alle patologie più frequenti, più ancora della stessa “memoria a breve termine” (quella che consente ad esempio di memorizzare le cifre necessarie per comporre un numero di telefono per i pochi secondi richiesti dall’azione). Per esempio, la memoria episodica è la prima a essere compromessa nella demenza di Alzheimer. La memoria semantica è invece più resistente, tanto è vero che un soggetto con malattia di Alzheimer iniziale può talora continuare a svolgere attività professionali anche impegnative, perché in tali situazioni utilizza per lo più appunto la memoria semantica.
Il fatto che le OSAS possano compromettere selettivamente tale forma di memoria, se confermato da studi su più vasta scala, potrebbe in effetti configurare un profilo neuropsicologico del tutto peculiare per i disturbi cognitivi di questa patologia».
L’importanza di correggere le OSAS
Ecco, dunque, che alla luce di quanto fin’ora esposto appare importante cercare di trovare una soluzione alle apnee notturne. In che modo? Il professor Cocito spiega: «L’apparecchiatura CPAP (acronimo per Continuous Positive Airway Pressure) è sostanzialmente un piccolo ventilatore che impedisce alle pareti “soffici” delle prime vie aeree (palato molle, faringe, lingua, epiglottide) di “collassare” durante il sonno. In tal modo si impedisce la comparsa dei disturbi respiratori del sonno, il russamento e soprattutto le apnee notturne. L’utilizzo del CPAP è in genere molto efficace, ma purtroppo non è tollerato da molti pazienti, tanto che una quota non trascurabile smette di utilizzare l’apparecchio. Gli approcci alternativi più comuni sono essenzialmente la riduzione del peso corporeo e la cosiddetta terapia posizionale. I benefici della perdita di peso sono abbastanza ovvii (d’altra parte è noto che spesso le OSAS insorgono o si aggravano in concomitanza con un aumento ponderale). La terapia posizionale si basa sul fatto che non raramente le OSAS insorgono quando il soggetto dorme in posizione supina e non, ad esempio, quando dorme su un fianco. Naturalmente spesso non basta invitare il paziente a modificare la sua abitudine, ma esistono vari dispositivi che favoriscono questo risultato. L’accorgimento più semplice e “tradizionale” può essere fissare una pallina da tennis sul retro del pigiama: nell’assumere la posizione supina, il soggetto avvertirà fastidio e si girerà su un fianco per evitarlo. Oggi esistono anche soluzioni tecnologicamente più avanzate con le quali si può ottenere lo stesso risultato in modo meno fastidioso anche se un po’ più costoso».
Alternative al CPAP
Per i pazienti che non tollerano il CPAP possono esserci alcune altre soluzioni come conclude il professor Cocito: «Altri approcci alternativi alla CPAP possono essere i “dispositivi intraorali”, concettualmente simili ai “bite” impiegati in odontoiatria, ma con caratteristiche un po’ diverse. Agiscono, praticamente, spostando la mandibola in avanti oppure bloccando la lingua: in entrambi i casi si ostacola il collabimento delle prime vie aeree associato con le apnee. In casi selezionati, e quando le altre opzioni abbiano fallito, è possibile ipotizzare un intervento chirurgico. Si tratta di una materia “in divenire”, perché, mentre alcuni interventi tradizionali come la uvulo-palato-faringoplastica si sono rivelati non molto utili, alcuni approcci innovativi hanno fornito buoni risultati. Il ricorso alla chirurgia, a meno che non si tratti di correggere evidenti ostruzioni o malformazioni , come può succedere in caso di un’ipertrofia adenotonsillare, deve essere valutato con cautela, personalizzato ed eseguito da personale particolarmente competente».