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Mara ha tre anni. Ha mal di testa, vomito e cefalea da alcune settimane. Il pediatra non riesce a trovare la causa e alla fine la bambina viene portata al pronto soccorso. Una Tac e una successiva risonanza magnetica urgenti rivelano la presenza di un tumore cerebrale e viene posta l’indicazione ad intervenire chirurgicamente sulla base di una consulenza neurochirurgica. È evidente il potenziale devastante che può avere la comunicazione ai genitori e alla piccola paziente di una simile diagnosi e terapia.

I tumori cerebrali sono le neoplasie solide più frequenti in età pediatrica e i gliomi a basso grado sono il 30% di tutti i tumori cerebrali nei bambini con meno di 15 anni. Le innovazioni negli strumenti diagnostici e nelle terapie degli ultimi vent’anni hanno cambiato la storia di questi tumori. I gliomi hanno una crescita lenta, infiltrante e per questo la chirurgia è complicata e non sempre possibile. Quando lo è, è curativa nella quasi totalità dei casi.

Proprio per la complessità gestionale della patologia oncologica in ambito pediatrico, anche la neurooncologia pediatrica dovrebbe essere sempre gestita con un approccio di equipe in cui tutti gli specialisti, da quelli che operano in pronto soccorso ai radiologi, fino ai neurochirurghi, agli oncologi e ai terapisti della riabilitazione siano pronti a coordinarsi per garantire il miglior percorso terapeutico e offrire punti di riferimento sicuri per guidare il piccolo paziente e la sua famiglia dalla diagnosi alla terapia, e alla gestione della prognosi. Purtroppo, le cose non sempre vanno così.

«La gestione di un paziente già complesso come quello pediatrico richiede un team multidisciplinare: prima di decidere qualunque percorso terapeutico, come ad esempio di intervenire chirurgicamente, il neuroradiologo deve parlare con il neurochirurgo che deve parlare con il neurooncologo.

Tutti gli specialisti sono necessari: dall’anestesista al riabilitatore, dal dietologo allo psicologo, dal radioterapista al riabilitatore, al logopedista» spiega Erik Sganzerla, Direttore della struttura complessa di neurochirurgia del San Gerardo di Monza e docente dell’università di Milano Bicocca. Insieme al collega professor Carlo Giorgio Giussani, neurochirurgo dell’equipe di Sganzerla specializzato in tumori cerebrali pediatrici e docente della stessa università, il professor Erik Sganzerla è l’organizzatore di un convegno dedicato alla gestione del bambino con tumore cerebrale che si svolgerà a Monza domani il 18 novembre.

Come fare per garantire che Mara sia presa in carico correttamente ed evitare che il neurochirurgo intervenga «da solo» senza consultare gli altri specialisti? «Oggi la collaborazione è troppo spesso volontaria, frutto di un lavoro spontaneo e rapporti informali. Noi neurochirurghi di Monza collaboriamo strettamente con l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e condividiamo i casi con la primaria della pediatria oncologica Maura Massimino, che seguirà poi i nostri pazienti» spiega Giussani. «Andrebbero identificati tutti i centri hanno un certo volume di attività e quindi le competenze necessarie affinché i cittadini sappiano quale centro ha più esperienza e quindi dove è meglio rivolgersi».

I NUMERI DEI CASI

In Italia, ogni anno, in media sono diagnosticati 1700 casi di tumori solidi nella fascia di età compresa tra 0-15 anni e 900 nella fascia di età compresa tra 15-19 anni. Di questi, oltre 200 sono presi in carico dalla Pediatria oncologica dall’Istituto Nazionale dei Tumori, di cui 80 sono tumori cerebrali. «Le competenze oncologiche sono fondamentali» spiega Maura Massimino, responsabile della pediatria oncologica dell’INT.

«Bisogna saper riconoscere i sintomi e i segni di un tumore in età pediatrica e inviare il bambino alla diagnosi quanto prima; bisogna sapere cosa fare di fronte ai diversi sintomi e quando farlo. Ci sono passaggi diagnostico-terapeutici che possono anche esser eseguiti in strutture diverse ma non possono essere saltati o eseguiti da un unico specialista». Questo si riflette anche nella comunicazione con il paziente: «Chi comunica con i genitori, e anche con il bambino, deve avere bene in mente tutto il percorso passato e quello che aspetta loro, le sfide ma anche il dolore e la sofferenza. Bisogna farsi carico di quello che si dice al paziente».

L’elevata specializzazione richiesta per la gestione della neurooncologia pediatrica non richiede tuttavia necessariamente l’accorpamento di tutti gli specialisti in un’unica struttura. In Italia, ci sono solo alcuni ospedali dei bambini, il Mayer di Firenze, il Bambin Gesù di Roma, il Santobono di Napoli, il Gaslini di Genova. In Lombardia, «regione virtuosa e ricca di eccellenze sanitarie, che per ragioni storiche e territoriali non ha ancora un «children hospital» - spiega il neurochirurgo Giussani - ad avere una neurochirurgia pediatrica oltra al San Gerardo di Monza, ci sono il Niguarda, il Besta, il Policlinico e il Fatebenefratelli», mentre essa è assente all’Ospedale dei Bambini «Vittore Buzzi».

In Italia, a promuovere la collaborazione c’è l’AIOP Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica, che unisce oltre ai pediatri anche ma ematologi, oncologi, chirurghi, biologi, infermieri, psicologi specializzati nella cura dei bambini.

Ma sarebbe necessario un coordinamento sotto forma di rete strutturata, magari con un modello ad «hub and spoke», esattamente come si sta facendo con altre patologie. Per mettere in comunicazione i vari nodi della rete, i reparti di degenza, i vari ambulatori specialistici ad essi collegati e la realtà territoriale, in Lombardia è nata la Rimmi (Rete interaziendale Milano materno -infantile), composta da tutte le strutture della Milano Metropolitana: Ats Città metropolitana di Milano, Asst Fatebenefratelli Sacco, Asst Pini/Cto, Asst Grande ospedale metropolitano Niguarda, Asst Santi Paolo e Carlo, Asst Nord Milano, Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Fondazione Irccs Istituto nazionale dei tumori, Fondazione Irccs Istituto neurologico Carlo Besta, ambulatori dei Pediatri di libera scelta.

La Regione Lombardia ha aperto un tavolo di lavoro, coordinato dall’ospedale dei bambini Buzzi, a cui sono invitati a sedersi tutti gli ospedali e gli IRCCS pubblici per capire chi fa cosa, stabilire dei criteri minimi per poter intervenire con pazienti neurooncologici e identificare i centri che già operano nell’area materno-infantile di Milano.

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