Confusione, questa è la parola d'ordine che emerge dalla bozza del Decreto ministeriale, inviato alle regioni, previsto per mettere in moto la riforma dell’assistenza territoriale.
Confusione figlia di un non coraggio nel riconoscere ed impiegare le figure già presenti nel settore salute. In questa prima bozza sono indicati quattro articoli ed in altro documento si indicano gli standard qualitativi, quantitativi, strutturali e tecnologici ma in modo non specifico, quasi fosse fatto appositamente come traccia generica per arrivare ad i fondi del PNRR che ammontano circa a venti miliardi di euro.
Appare evidente da una prima analisi come non siano stati analizzati aspetti macroscopici; le diversità degli aspetti normativi regionali non permetterebbè una uniformità dello sviluppo di assistenza territoriale, vi è infatti il riferimento a processi organizzativi che guardano al passato con comparti separati che non si avvalgono della esperienza fin qui avuta a livello territoriale, in cui, i distretti sanitari hanno già intrapreso da anni una serie di interventi che mirano proprio a soddisfare quelli che vengono chiamati i livelli essenziali assistenziali.
Vengono esplicitate una serie di funzioni in cui non vi sono indicati gli attori principali così come accade nello stabilire chi debba valutare la "stratificazione della popolazione e l’analisi del bisogno di salute" le "condizioni preliminari per differenziare le strategie d’intervento e prendere in carico gli assistiti sulla base del livello di rischio, dei bisogni e del consumo di risorse"
o la "stesura del Progetto Salute come conseguenza operativa dell’analisi del bisogno individuale"
Oltre alle problematiche strutturali ed organizzative non mancano quelle finanziarie, la bozza introduce una clausola di invarianza finanziaria, per cui il decreto va attuato senza nuovi oneri finanziari nell’ambito del livello di finanziamento del Fondo sanitario nazionale, con l’aggiunta delle risorse del PNRR. Questa condizione non concederebbe l'utilizzo delle risorse del PNRR per quelle parti di capitale umano necessario a creare una infrastruttura adeguata ad eccezione per il personale di assistenza domiciliare.
Il ruolo dei medici di medicina generale non solo non è ben chiaro ma non si evince se debbano essere in servizio presso i loro ambulatori o debbano far parte delle case di comunità (cdc) oppure delle Unità complesse di cure primarie (Uccp) o essere ovunque e in nessun posto.
Anche le proposte avanzate da alcune testate giornalistiche sanitarie appaiono anacronistiche, specie nel ruolo del medico di medicina generale che lo vede ancora una volta non parte di un equipe ma al vertice con degli schemi non solo superati ma non applicabili.
La vera sfida è quella di dare la giusta collocazione ad i vari professionisti sanitari che attraverso le loro peculiarità figlie di un alto percorso formativo con un'autonoima professionale ed una responsabilità diretta sono in grado di fornire una giusta risposta sanitaria al territorio.
Il sistema sanitario nazionale ha già i suoi professionisti pronti ad abbracciare il territorio, occorre solo il coraggio di applicare una politica efficace ed efficiente.